Autore sconosciuto, S. Antonio con libro e giglio, Padova, Chiesa S. Daniele © Giorgio Deganello - Archivio MAS Autore sconosciuto, S. Antonio con libro e giglio, Padova, Chiesa S. Daniele © Giorgio Deganello - Archivio MAS 

Antonio di Padova, il santo delle piccole grandi cose

Il 13 giugno, la Chiesa celebra la memoria di sant'Antonio di Padova, uno dei santi più amati nel mondo. Fine teologo francescano, è noto per i suoi miracoli ma soprattutto per la sua vicinanza alla gente semplice

Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano

Antonio è un santo molto amato e conosciuto, patrono non solo della città di Padova, che custodisce le sue spoglie mortali, ma anche di molte altre città e Paesi sparsi in tutto il mondo, come Brasile e Portogallo - è nato a Lisbona nel 1195 - nonché della Custodia di Terra Santa. I fedeli imparano a onorarlo fin dall’infanzia, quando i nonni o i genitori regalano piccoli panini profumati e raccontano i suoi miracoli straordinari: la mula che si inginocchia di fronte al Santissimo convertendo un uomo che non credeva nell'Eucaristia, i pesci palpitanti sul pelo dell’acqua intenti ad ascoltare le sue parole, il Bambino Gesù che appare ad Antonio in tutta la sua luce... I suoi miracoli sono così tanti da destare meraviglia: “Troppa grazia sant’Antonio!” si usa dire. Eppure il suo esempio dimostra che la fede non scaturisce dal miracolo, se mai è il contrario: è la fede che lo genera, è il segno della partecipazione di Dio alla nostra vita, che non manca di mostrarci nel mondo il preludio di ciò che sarà eterno, immenso, straordinario.

Un santo teologo e popolare

Sant’Antonio è un santo popolare, vicino alle persone che lo pregano per bisogni familiari e domestici, al punto da essere invocato anche per trovare oggetti smarriti, come ci insegna la preghiera del “Sequeri” o per trovare marito alle ragazze. Allo stesso tempo è un santo complesso, sapiente, dalla profonda teologia nel legame con san Francesco. Scrive Benedetto XVI: “Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell’azione e della predicazione. È questo un altro tratto tipico della teologia francescana: il cristocentrismo” che invita a contemplare “i misteri dell’umanità del Signore”. Sant’Antonio “parla della preghiera come di un rapporto di amore, che spinge l’uomo a colloquiare dolcemente con il Signore, creando una gioia ineffabile, che soavemente avvolge l’anima (…) la preghiera ha bisogno di un’atmosfera di silenzio che non coincide con il distacco dal rumore esterno, ma è esperienza interiore, che mira a rimuovere le distrazioni provocate dalle preoccupazioni dell’anima, creando il silenzio nell’anima stessa. Secondo l’insegnamento di questo insigne Dottore francescano, la preghiera è articolata in quattro atteggiamenti”. Il primo passo è “aprire fiduciosamente il proprio cuore a Dio”, poi “colloquiare affettuosamente con Lui, vedendolo presente con me; e poi – cosa molto naturale - presentargli i nostri bisogni; infine lodarlo e ringraziarlo. In questo insegnamento di sant’Antonio sulla preghiera cogliamo uno dei tratti specifici della teologia francescana, di cui egli è stato l’iniziatore, cioè il ruolo assegnato all’amore divino, che entra nella sfera degli affetti, della volontà, del cuore, e che è anche la sorgente da cui sgorga una conoscenza spirituale, che sorpassa ogni conoscenza. Infatti, amando, conosciamo” (Udienza generale del 10 febbraio 2010).

Un santo antico ma così moderno

Antonio è un santo antichissimo e allo stesso tempo un uomo sempre contemporaneo a ciascun tempo che attraversa il mondo. Quest’anno, Papa Francesco ha inviato una lettera al Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, Carlo alberto Trovarelli, in cui parla del viaggio di sant’Antonio dal Portogallo al Marocco e alla Sicilia, come “simbolo del proprio itinerario spirituale di conversione”. Durante questo cammino, lungo le coste italiane, fa esperienza del naufragio, proprio “come accade oggi a tanti nostri fratelli e sorelle”, scrive Francesco che fa riferimento a quella che è la caratteristica saliente dell’uomo e specialmente dell’uomo moderno: l’inquietudine, che però in Antonio si traduce in sete di Dio. Papa Francesco augura ai francescani, ma anche a tutti noi, “il desiderio di sperimentarne la stessa santa inquietudine che lo condusse sulle strade del mondo per testimoniare, con la parola e le opere, l’amore di Dio. Il suo esempio di condivisione con le difficoltà delle famiglie, dei poveri e disagiati, come pure la sua passione per la verità e la giustizia, possano suscitare ancora oggi un generoso impegno di donazione di sé, nel segno della fraternità. Penso soprattutto ai giovani: questo Santo antico, ma così moderno e geniale nelle sue intuizioni, possa essere per le nuove generazioni un modello da seguire per rendere fecondo il cammino di ciascuno”. 

L’iconografia di Antonio e i suoi simboli

Le raffigurazioni di sant’Antonio commuovono, specie quando sono opere di artisti sconosciuti, alle volte perfino un po’ naïf.  In ogni chiesa non può mancare la sua immagine di ragazzo giovane, dallo sguardo luminoso, con la tonsura e il saio scuro. In una mano il  Libro e in braccio il Bambin Gesù e nell’altra un ramo di giglio.

Il Lilium candidum o il giglio di sant’Antonio

Sua caratteristica immancabile è il giglio candido, tanto che il fiore è detto proprio “giglio di  sant’Antonio”. Questo fiore dal profumo intenso, che fin dall’antichità è stato assimilato alla sontuosità della rosa e appare assai spesso nelle fonti antiche classiche come nella Bibbia, rappresenta la Vergine Maria nell’Annunciazione, dunque simbolo dell’Incarnazione di Cristo, fiorisce sul bastone di Giuseppe e contraddistingue molti altri santi come san Luigi o Caterina da Siena. È un fiore che simboleggia purezza e nobiltà d'animo. Chiunque si rechi presso la basilica di Padova avrà notato la grande quantità di bigliettini lasciati nelle ceste ai piedi dell’Arca.  Raccontano storie e speranze, richieste di aiuto e preghiere. Sono bianchi, simili ai petali del giglio.

La santità del quotidiano

Nel Sermone della Domenica XV dopo Pentecoste, al paragrafo 12, Antonio confronta i gigli del campo ai fiori del deserto e del giardino: “Nel campo sono indicate due cose: la sodezza della santità e la perfezione della carità. Il campo è il mondo (cf. Mt 13,38): per il fiore, resistere nel campo è tanto difficile quanto meritorio. Fioriscono nel deserto gli eremiti, che si mettono al riparo dall’umana compagnia. Fioriscono nel giardino recintato i claustrali, che sono tutelati dalla vigilanza umana. Ma è molto più meritorio (eroico) che i penitenti riescano a fiorire nel campo, cioè nel mondo, dove tanto facilmente si distrugge la duplice grazia del fiore, vale a dire la bellezza della vita santa e il profumo della buona fama”. È la santità nascosta del quotidiano che si dona sempre, nel silenzio dei giorni che passano: “Nell’essere chiamati ‘gigli del campo’ - afferma Antonio - è indicata la perfezione della carità, in quanto i gigli sono alla portata di chiunque li voglia cogliere”.

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Autore sconosciuto, S. Antonio con giglio, Basilica S. Antonio, Convento, © Giorgio Deganello - Archivio MAS
12 giugno 2020, 20:47