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Cei, Maffeis: le chiese pronte a essere riabitate nella fase 2

La Chiesa italiana chiede che dopo il 3 maggio, con l’avvio della "fase 2" si possano riprendere Messe e funerali. Il sottosegretario della Cei, don Ivan Maffeis, spiega come la volontà sia di riaprire le chiese nel massimo rispetto delle regole di contrasto alla pandemia

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Il Covid-19, oltre ad aver messo in ginocchio il mondo, e con esso l’Italia, con migliaia di morti, ha anche reso impossibile per i credenti celebrare assieme, riunirsi, vivere una dimensione comunitaria. La Conferenza episcopale italiana ha condiviso le limitazioni con tutti gli altri. Oggi che i dati possono forse regalare un po’ di speranza e che le istituzioni cercano di mettere a punto la cosiddetta “fase 2”, che dovrebbe aprirsi dopo il 3 maggio, la Chiesa italiana avverte la necessità di essere ascoltata e di poter offrire alcune proposte concrete. La Conferenza episcopale italiana vuole riprendere ad "abitare la Chies" spiega don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei:

Ascolta l'intervista con don Ivan Maffeis

R. – Non possiamo assolutamente sottovalutare il dramma che stiamo vivendo, questa tempesta che ha fatto sì che dal punto di vista liturgico il sacerdote celebrasse "per il popolo ma senza il popolo". Ora si vuole ritornare, si vuole cercare di tornare, a celebrare con il popolo. È evidente che non potremo semplicemente intendere la data di maggio come un "liberi tutti", sarebbe irresponsabile e inapplicabile, sarebbe esporsi davvero ad un rischio enorme. Tuttavia, pur all’interno di tutte le misure che vanno rispettate - tutte le misure sanitarie, dalla distanza all’igiene e così via - vorremmo provare comunque a far capire quanto sia importante, in questo momento, riabitare le chiese sia per la celebrazione eucaristica e sia anche per una vita di comunità. Sappiamo quante persone stanno soffrendo enormemente per la mancanza dei Sacramenti e anche proprio per una solitudine, per un isolamento, nel rispetto di quelle che sono le misure di sicurezza. E’ importante iniziare a porre alcuni segnali che ridiano la speranza e che, nella responsabilità di ciascuno, possano portare a un ritorno alla vita comunitaria, che naturalmente per forza di cose sarà ancora ridotta e regolamentata, quindi ad esempio si può immaginare che una chiesa che può contenere 200 persone magari ne vedrebbe 10. Però è un segnale importante, rispetto al quale oggi sarebbe davvero difficile accettare un semplice "no".   

Don Maffeis, ciò che in queste settimane ha fatto soffrire molti fedeli è stata l'impossibilità di salutare i propri cari, l'impossibilità di vivere il congedo definitivo, perché i funerali non sono stati celebrati. Questa è una delle cose che più sta a cuore alla Cei, di cui avete parlato con il governo italiano…

R. – Non solo non abbiamo potuto celebrare i funerali, ma le persone non hanno potuto stare accanto ai propri  malati sia perdare l'assistenza, che sicuramente è stata assicurata dal personale medico  e  infermieristico, ma anche per dimostrare attenzione, quell’affetto che passa con lo sguardo, con la parola, attraverso l'esserci. Un dramma nel dramma se pensiamo a queste 21 mila persone che sono morte per l’epidemia, se immaginiamo a quante persone siano rimaste coinvolte da queste morti e quanti familiari si siano trovati privi di quel momento di congedo, di quel momento di saluto e ringraziamento, di riconciliazione. Possiamo davvero studiare un modo affinché possa esserci questa prossimità, affinché possa essere un momento anche celebrativo per chi lo desidera, laddove gli stretti familiari con sacerdote possano salutare e benedire la salma.

La Cei è fortemente impegnata nel dialogo con le istituzioni italiane, lei in prima linea. Come sta rispondendo il governo alle vostre richieste?

R. – Come Segreteria generale dobbiamo riconoscere che abbiamo sempre trovato, in queste settimane, una grande attenzione, una grande apertura su questo tema. Il rapporto con il governo è un rapporto di cordialità e collaborazione leale e quindi sentiamo quanto sia importante che il governo riconosca che nelle proposte della Chiesa c'è davvero la volontà di dare un contributo al bene comune, perché dietro alle celebrazioni, dietro alla prossimità, alle persone, c'è sicuramente un grande contributo di speranza per fare in modo che le famiglie, le persone, non si sentano semplicemente lasciate a se stesse. Il lavoro fatto dalla Caritas in queste settimane, la straordinaria rete sul territorio, sta dimostrando la vivacità di una Chiesa che sa farsi carico dei bisogni, vuoi materiali, vuoi spirituali che abitano nelle nostre case e  nelle nostre comunità. Tutto questo è importante. Se oggi riusciamo a fare dei passi che ci restituiscono a  un percorso verso una sorta di normalità, che non sarà come prima ma che consentirà comunque di incontrarsi, di celebrare l'Eucaristia insieme, ecco questo può fare la differenza. Si tratta di un impegno che può essere davvero assunto con responsabilità, senza sottovalutare il pericolo al quale siamo ancora esposti e senza calpestare lo sforzo enorme che tutto il Paese ha accettato di vivere  proprio per contrastare la pandemia. 

Il Consiglio permanente Cei nei giorni scorsi ha ricordato i 100 sacerdoti che sono morti a causa del coronavirus, per non aver mancato al loro ruolo  per essere rimasti tra i loro fedeli, per aver portato conforto e speranza…

R. – Il Consiglio permanente, nella  riunione di  giovedì scorso ha dato  voce al  territorio, ha portato la sofferenza, l'attesa, le esigenze delle nostre comunità, così come ha testimoniato la  ricchezza della Chiesa. Nel contempo ha rilanciato, proprio perché la fase 2 veda la Chiesa pienamente attiva e protagonista anche  nei confronti delle  istituzioni, il ricordo di sacerdoti defunti  che  sono ormai oltre 100. E’ il ricordo di persone umili, semplici, nella grande maggioranza persone sconosciute, per così dire, al mondo ma profondamente amate dalle comunità che hanno servito. La figura del parroco, nel nostro Paese, è forse il riferimento più chiaro e più significativo di quello che è la Chiesa nei  suoi  ministri, proprio per la prossimità alla vita delle famiglie, delle persone, per  quella capacità di accoglienza che di solito le nostre parrocchie sanno esercitare, per quell’"esserci" imparando, proprio come dice il Papa, il nome di ciascuno, addirittura il nome dei cani. Le figure che noi ricordiamo, le ricordiamo come figure di quella santità della porta accanto che è una santità feriale, che troviamo anche in tanti laici e che qui si incarna e prende il  volto di pastori che hanno fatto davvero della sequela del Signore il criterio della loro vita, spesa per amore del popolo. 

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17 aprile 2020, 18:13