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I saveriani di Parma, il sacrificio risponde alla nostra vocazione

Nella casa madre dei padri missionari si registrano molti decessi attribuibili al coronavirus. Per loro è però il segno della profonda comunione con la realtà in cui vivono. Intervista con padre Giannattasio, superiore in Italia

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Si sono auto isolati, non escono e non fanno entrare nel tentativo di proteggere loro stessi, ma soprattutto gli altri. Non è dato di sapere se il coronavirus sia penetrato in viale San Martino a Parma, resta però lo sconcerto di fronte a 13 decessi in 15 giorni tra i padri missionari saveriani della casa madre, alcuni morti in ospedale, altri nelle loro stanze. “Non sappiamo se si tratti del covid-19 – spiega il superiore in Italia, padre Rosario Giannattasio – non è stato fatto alcun tampone da chi è competente, certo è una situazione anomala, fino a questo momento si registravano 4-5 decessi l’anno, tra l’altro alcuni erano anche relativamente giovani”. Ci sono poi gli ammalati nell’infermeria della struttura. Si mangia a distanza, si prega, sono soli, ma ora – raccontano – non si sentono più abbandonati, una sensazione che fino a qualche giorno fa, purtroppo, sentivano addosso.

Ascolta l'intervista con padre Rosario Giannattasio

Anche la loro morte è stata missionaria

In queste due settimane hanno salutato i padri Stefano Coronese Gerardo Caglioni, Luigi Masseroni, Giuseppe Scintu, Guglielmo Saderi, Giuseppe Rizzi, Piermario Tassi, Vittorio Ferrari, Enrico Di Nicolò, Corrado Stradiotto, Pilade Giuseppe Rossini, Nicola Masi, l’ultima vittima è di lunedì scorso, del 23 marzo, padre Piergiorgio Bettati. Persone che hanno trascorso la maggior parte della loro vita in luoghi molto pericolosi, al servizio degli altri. “Hanno lavorato in Africa, in Asia, America Latina, noi saveriani siamo in 20 diversi Paesi del mondo – continua padre Giannattasio –  e se per tutta la loro vita, per usare un termine caro a Papa Francesco, hanno avuto addosso ‘l'odore delle pecore’, in questa ultima parte della loro vita hanno addosso il virus che sta colpendo tanti uomini e tante donne. In questa vicenda, pur nel dolore, c’è una profonda comunione di noi missionari con la realtà in cui siamo. È sofferenza, ma è anche prendere atto di questa vita donata ai fratelli e vissuta fino in fondo in questo modo. Non ci fa certo rallegrare, ma ci fa dire grazie a Dio di aver vissuto fino in fondo la nostra vocazione”.

L'appello dei saveriani raccoglie espressioni di carità cristiana

L’appello lanciato dai padri saveriani nei giorni scorsi, serviva a chiedere aiuto a “svegliare un po’ le istituzioni che, senza voler dare un giudizio, fanno molta fatica in questo momento”, ciò che hanno ricevuto in cambio è stato molto più di un aiuto. “Tantissime persone – racconta ancora padre Giannattasio – hanno mostrato solidarietà per via telefonica, attraverso aiuti, attraverso raccomandazioni di preghiere, possiamo dire che queste morti abbiano avuto un aspetto fecondo nel dimostrare che la carità cristiana esiste ancora, e che esiste anche una grande valenza umana della nostra terra, dell’Italia. Ecco, questo è stato il risultato dell’appello”.

La sofferenza aiuti la riflessione sulla società che si vuole

La Pasqua che si avvicina ci insegna che la vita trionfa ma, è la sollecitazione di padre Giannattasio, dobbiamo chiederci, alla luce di questa grande sofferenza, che tipo di società costruire, su quali valori fondarla. “La Pasqua – conclude con il pensiero rivolto a chi con la sua generosità trasmette vita e fiducia – non è solo la resurrezione di Cristo, è la resurrezione della vita, è la resurrezione della natura”.

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26 marzo 2020, 08:02