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L'Abbazia di San Miniato al Monte L'Abbazia di San Miniato al Monte

L'abate di San Miniato: sono giorni oscuri, siamo accanto alla gente con ogni mezzo

L'invito di padre Bernardo Gianni a tutte le famiglie a riscoprire la vocazione di essere cellule di Chiesa, che pregano insieme e agli altri testimoniano la speranza

Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano

La voce di un pastore e il riparo offerto dalla Chiesa  non mancheranno mai, accompagneranno i fedeli in questo periodo di grande buio, anche nel dramma di un lutto, in un momento in cui non è permesso, per la salute pubblica, dare l’estremo saluto.  Dom Bernardo Gianni, benedettino abate di San Miniato al Monte, è un forte punto di riferimento spirituale e culturale per Firenze. Fu lui lo scorso anno a essere scelto da Papa Francesco come predicatore per gli esercizi spirituali della Quaresima e in questa difficile situazione creata dalla pandemia del Covid-19 rassicura il popolo di Dio che vedrà rafforzata la propria fede.

Ascolta l'intervista con dom Bernardo Gianni

R. – Direi che la prossimità della Chiesa vada sperimentata personalmente, dai singoli fedeli, dalle famiglie, dalle comunità, come esperienza di Mistero, di amore, che scaturisce dal Cuore stesso della Santissima Trinità, che ha confini infiniti e invisibili e che racchiude tutte le nostre esistenze, le pone al sicuro in questi giorni così difficili, le pone in uno spazio che la tradizione monastica ama evocare come lo spazio più bello, più sicuro, più pasquale che ci sia dato, proprio perché invisibile, proprio perché al riparo da ogni contaminazione, esterna e indebita, e questo spazio è il cuore del Signore Gesù. Ecco, mi piacerebbe che tutte le persone si sentissero capaci di dimorare nel cuore della Chiesa, che è il cuore di Cristo, in uno spazio che non si può vedere, ma non per questo meno reale, anzi! Davvero è la sorgente della nostra grazia, di ogni nostra speranza, e della stessa salvezza.

L'abate Bernardo Gianni
L'abate Bernardo Gianni

La celebrazione del funerale è un momento importante per chiunque perda un proprio caro. Con la sospensione delle esequie, così come delle messe, al dolore della morte si aggiunge quello di non poter vivere appieno il momento del congedo. Come si possono sostenere i fedeli in un momento così ?

R. – Non è certo la stessa cosa, però una compensazione non banale è quella che ci offrono i mezzi tecnologici come la rete, le piattaforme sociali, il telefono, tutto ciò che può rendere presente la voce di un pastore, di un sacerdote, di un religioso alla famiglia colpita da questo lutto, per fare in modo che si percepisca come il cammino di consolazione non sia interrotto, ma continuerà fino a al bellissimo e importante momento, quando ci sarà la celebrazione insieme di quella Messa, durante la quale, anche se non sappiamo quando, potremo riportare alla luce il ricordo dei nostri cari e, con l'aiuto dello Spirito Santo, trasformare il ricordo in speranza pasquale. Nel frattempo, dobbiamo cercare, soprattutto noi presbiteri, noi religiosi, di approfittare di ogni mezzo per far sentire alle persone che il nostro non è un dolore asettico, con i guanti, con la distanza, con la rimozione ma che, al contrario, patisce con loro questa impossibilità di esprimere la ragione della nostra vita, perché la ragione della nostra vita è accompagnare le persone in Cristo, con Cristo e per Cristo, e celebrare la liturgia, vivere di liturgia. E’ un digiuno incredibile quello che la situazione corrente ci fa sperimentale e ci fa subire, ma in tempo di Quaresima sappiamo che il Signore approfitta di ogni digiuno per donarci, un domani, quel banchetto di grasse vivande che i profeti sanno aspettare e desiderare, come celebrazione messianica del ritorno del Signore in mezzo a noi. Quindi, tutto questo va visto davvero come un appuntamento verso un futuro di grazia e pieno di speranza che il Signore non mancherà di farci vivere.

Come potete voi uomini di religione, in questo momento, in cui è difficile avere qualsiasi contatto, ricordare ai fedeli quanto sia importante la solidarietà e non il chiudersi pensando alla propria salvezza ?

R. – Il Concilio Vaticano II ci ha fatto riscoprire la Chiesa come mistero di comunione, quindi di relazione, che sgorga dal cuore della Santa Trinità. Quindi, io direi che non si possa assolutamente pensare di appartenere alla Chiesa chiudendoci in una individualità impaurita ed  egoistica. Quando i discepoli lo fanno, subito dopo la Pasqua, lo leggeremo nella domenica in Albis, speriamo in chiesa, il Signore attraversa quelle porte, quelle pareti chiuse e, col dono dello Spirito Santo, invia tutti i discepoli, fino ad allora impauriti, a donare misericordia e speranza al mondo intero. Ecco, questo evento lo dobbiamo chiedere allo Spirito Santo anche nelle nostre case, che tentano giustamente, da un punto di vista sanitario, di chiudersi alla ingerenza del virus, ma devono alla grazia dello Spirito. Ecco, le nostre famiglie devono scoprire in questa situazione, purtroppo così drammatica, uno statuto perenne della loro vocazione familiare: essere una piccola Chiesa, una cellula di Chiesa, dove si può e si deve pregare insieme, si può ascoltare insieme la parola del Signore, si può e si deve essere, anche per le altre famiglie, con la nostra testimonianza di preghiera, di speranza e di amore, un segno che apra un futuro migliore del presente che stiamo vivendo.

Lei teme che i fedeli possano interrogarsi sul “Perché mi hai abbandonato?” e con questo, in qualche modo, allontanarsi dalla fede ?

R. – La mia risposta non vuole essere provocatoria, io non solo non temo, ma per certi versi desidero che i fedeli passino attraverso questa notte oscura, anche del dubbio, perché è un’esperienza che rafforza la fede, rafforza la comunione col Signore, rafforza l’adesione filiale al Padre Celeste. Da questa notte oscura ci è passata la santità di grandi mistici di ogni epoca, fino a Madre Teresa di Calcutta. Sono le parole del Signore Gesù, quindi ci dicono che anche lui nel mistero della Sofferenza è attraversato da quel grande dubbio che è la nostra condizione umana lasciata a se stessa, cioè: io sono generato da un amore paterno, la mia figliolanza è frutto del caso o di un progetto di amore? Ecco, io sono certo che il Signore darà a tutti, nel porsi questa domanda oggettivamente drammatica, quel bagliore aurorale di luce, di consolazione e di speranza, che corroborerà la consapevolezza di essere tutti figli nel figlio, nel figlio Gesù, e riscoprire così in Dio un Padre buono, che non si dimentica delle sue creature, ma che ci fa davvero abbondanza di grazia. Lo dobbiamo invocare davvero come Padre in questi momenti tristi, per noi e per tutti coloro che non credono.

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16 marzo 2020, 13:10