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Il popolo iracheno è un ‘campo di battaglia’. Chi aiuta i profughi?

"Voi siete un campo di battaglia", con queste parole a braccio - al termine dell'Udienza generale di mercoledì scorso - Papa Francesco salutava un gruppo di pellegrini provenienti dall'Iraq. Intervista a don Mario Cornioli, sacerdote Fidei donum ad Amman, a servizio del Patriarcato di Gerusalemme nella parrocchia di S. Giuseppe, impegnato nel sostegno ai numerosi profughi iracheni che transitano in Giordania, in fuga dalla guerra

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Nel rinnovare le preghiere per l’Iraq, dove era in cantiere una visita del Papa quest'anno, Francesco ha salutato un gruppo di fedeli, che ha partecipato all’Udienza generale in Piazza San Pietro, definendoli con amarezza “un campo di battaglia”. Ha espresso la sua vicinanza e ha detto: “Voi soffrite la guerra, da un lato e dall’altro”. Sulle ricadute della guerra nella vicina Giordania, don Mario Cornioli, Fidei donum ad Amman, a servizio del Patriarcato di Gerusalemme nella parrocchia di S. Giuseppe, spiega l’impegno sul campo per i profughi.

Ascolta l'intervista a don Cornioli

L'accoglienza straordinaria della Giordania

“Il popolo iracheno è un popolo straordinario e non merita di vivere questo campo di battaglia”, dice con dolore il sacerdote toscano in missione in Giordania. “Noi qui ne viviamo le conseguenze. Sono arrivati tantissimi profughi, iracheni e siriani. Noi lavoriamo soprattutto con gli iracheni. La risposta della Giordania è stata straordinaria nell’accoglienza di questi fratelli che scappavano. Ci siamo adoperati, ormai da cinque anni, per aiutarli. L’emergenza però continua. Molti, dopo essere stati accolti nelle parrocchie, sono stati riposizionati nelle case, vivono nei quartieri più poveri di Amman, però almeno c’è qualcuno che si prende cura di loro con progetti che vanno anche oltre l’emergenza”.

Da noi è sempre una ‘quaresima’

Don Cornioli precisa che per questi profughi “la Giordania è un paese di transito. Quando arrivano qua – spiega - fanno subito domanda per ripartire alla volta dell’Australia, soprattutto, dove ci sono meno restrizioni, oppure per il Canada e gli Stati Uniti. Molte famiglie sono riuscite nel frattempo a partire e questo dà la possibilità ad altre che hanno bisogno di venire. Il flusso quindi ancora non si è fermato e non si fermerà finché non ci sarà pace e stabilità. Non c’è futuro in questo momento in Iraq”. Don Mario si spinge a dire che “veramente in questa terra il maligno si è scatenato”. Da qui l’invito a pregare. “Noi inizieremo la Quaresima la prossima settimana, mercoledì, anche se da noi è sempre una quaresima, perché anche le stesse famiglie giordane, pur stando tutto sommato non male, fanno fatica, a livello economico non è semplice. Preghiamo perché davvero questa quaresima si possa concludere con la Pasqua di resurrezione per tutti”.

I progetti di Habibi Valtiberina (HAVA)

Don Cornioli accenna ai diversi progetti portati avanti insieme all’associazione Habibi Valtiberina che lavora per sostenere le famiglie irachene scappate dalle persecuzioni dell’ISIS, e la popolazione locale più vulnerabile. Si tratta di iniziative per promuovere un minimo di inserimento lavorativo, con l’obiettivo di dare loro le competenze tecniche per acquisire una maggiore autonomia economica e migliorare la loro qualità di vita. “Celebriamo in questi giorni il quarto anno del progetto dell’atelier di moda Rafedin”, racconta il sacerdote. Rafedin significa ‘I due fiumi’, il Tigri e l’Eufrate che racchiudono la Mesopotamia, la terra dell’Iraq ed il nome è stato scelto dalle stesse ragazze irachene in ricordo della loro terra [ndr]. In questi quattro anni circa una sessantina di ragazze hanno potuto imparare l’arte del cucito ed oggi sono una ventina le ragazze che frequentano ogni giorno il laboratorio.

Senza la Chiesa i profughi non avrebbero dignità

“Grazie anche alla CEI e all’8per1000 abbiamo aperto una pizzeria, un ristorante, un laboratorio di pasta fresca, un caseificio per fare pecorino e ricotta nel deserto con le donne giordane. Ci stiamo dando da fare per aiutarli con dignità”, racconta ancora Don Mario, ringraziando il contributo di alcune cooperazioni internazionali, francesi, in particolare. “Per i bambini abbiamo aperto una scuola informale frequentata da 406 bambini. I profughi iracheni non hanno lo status di rifugiati ma quello di richiedenti asilo, ciò non permette loro di lavorare, di accedere alla scuola, ai servizi sanitari. Quindi se non ci pensa la Chiesa a loro non penserebbe nessuno. Noi siamo qui, con questi nostri fratelli, per dire loro che Dio non li ha abbandonati del tutto. Pregate per noi”. 

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27 febbraio 2020, 17:15