Patriarca della Chiesa ortodossa rumena Daniel Patriarca della Chiesa ortodossa rumena Daniel

Settimana per l’Unità, gli ortodossi romeni in Italia: accolti dai cattolici

Padre Militaru, consigliere della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia, racconta il rapporto fraterno della sua comunità con i cattolici e come l’accoglienza dei migranti dimostri che il Vangelo è ancora vivo

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

Dopo l’ingresso della Romania nell’Unione Europea, la presenza di romeni di rito ortodosso in Italia ha superato il milione andando a costituire la comunità ortodossa più numerosa d’Italia. Numeri che hanno portato, nel 2007, alla costituzione della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia che sul territorio nazionale, da Nord a Sud, conta attualmente circa quattrocento parrocchie. Padre Gheorghe Militaru, del Dipartimento per le relazioni pubbliche della Diocesi, racconta ai microfoni di Radio Vaticana, come questa comunità cristiana stia vivendo il corrente Ottavario di preghiera per l’Unità. 

Ascolta l'intervista a padre Militaru

R. - Per gli ortodossi romeni, come per tutti i cristiani, l'Ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani rappresenta soprattutto una vocazione.  La vocazione a essere cristiani e ad essere fedeli al messaggio del Vangelo. Il Nuovo Testamento ci racconta infatti la preghiera di Gesù nel Getsemani, subito prima della sua Passione, quando supplica il Padre che tutti siano una cosa sola, come lo sono Lui e il Padre. Quindi, se Cristo stesso con la sua preghiera ha messo questa intenzione per l’unità davanti a Dio, anche noi cristiani siamo chiamati nella vita ad adempiere questo mandato, pur con le nostre debolezze.

D. - Al centro della Settimana di preghiera per l’unità di quest’anno c’è il tema dell’accoglienza con riferimento al tema dei migranti. Quanto la collaborazione tra cristiani è importante in questo campo?

R. - Viviamo dei tempi difficili, tempi di frantumazione e di grandi cambiamenti e concordo sul fatto che l'immigrazione possa essere un problema che preoccupa molti. Ma in nessun modo questo fenomeno e le incertezze che produce possono degenerare in paura dell’altro. Perché essere cristiani significa essere accoglienti nei confronti dei forestieri che vengono a bussare alla nostra porta. Perché Cristo stesso, subito, appena nato, è dovuto emigrare con la sua famiglia e scappare in Egitto e lì ha vissuto come immigrato per tre anni, per poi tornare non più a Betlemme ma a Nazareth. Quindi non siamo noi che scegliamo il posto dove nascere, ma c'è un disegno più grande che Dio stesso ha per ciascuno di noi. E le Chiese possono fare molto per l’accoglienza e lo stanno facendo con tutte le loro energie, al di là delle differenze fra le varie confessioni. Le Chiese cristiane accolgono coloro che scappano da luoghi di grande sofferenze e di grandi problematiche, li fanno sentire a casa, come fratelli, al di là del credo e della fede che ognuno professa. Questo significa che il Vangelo è ancora vivo nelle nostre comunità e la fede fa vedere i suoi frutti.

D. - La comunità rumena è una delle più ampie comunità straniere in Italia. Come ortodossi rumeni come vivete in Italia il dialogo con i cattolici?

R. - È ormai un rapporto molto fraterno e molto solido che si allarga tutti i giorni. Sul territorio nazionale contiamo più di un milione di fedeli raggruppati in circa quattrocento parrocchie che grazie a un grande e fraterno amore hanno trovato accoglienza presso molte strutture della Chiesa cattolica. E senza questo aiuto sarebbe stato impossibile per noi organizzarci da soli, in questi ultimi venticinque anni, con i numeri dell'emigrazione rumena sul territorio italiano. Questo è vero amore fraterno fra cristiani, significa – come diceva Papa Giovanni Paolo II “far respirare l'Occidente con due polmoni”. C’è l'Oriente che cerca Occidente e l'Occidente che accoglie l’Oriente nello stesso respiro del Vangelo e dell'amore fraterno. Quindi è una collaborazione molto intensa che aumenta ogni giorno nella sincerità, nel rispetto, nella fraternità e nella carità.

D. - Che impatto ha avuto nel dialogo tra cattolici e ortodossi rumeni il viaggio di Papa Francesco in Romania dello scorso maggio?

R. - Anche questo viaggio del Papa è stata, per me, una risposta al desiderio di incontrare il prossimo, che per noi cristiani è sempre nostro fratello. È stato il viaggio di Pietro che va ad incontrare Andrea, che va ad accogliere Andrea. Questa è stata la seconda visita di un Pontefice in Romania dopo la prima di vent'anni fa, nel 1999, di S. Giovanni Paolo II, che fu un vero ‘pioniere’, fu il primo Papa a visitare un Paese a maggioranza ortodossa. Il tema che è stato scelto per il viaggio di Papa Francesco in Romania è stato ‘Camminare insieme’. Ecco questo motto si può benissimo mettere come manifesto anche della Settimana di preghiera per l'Unità, ma anche della vita quotidiana di noi cristiani. Camminare insieme, uno accanto all'altro, nel cercare di dare una risposta positiva, esaustiva, ai problemi che tutti abbiamo nelle nostre comunità, le nostre città, le nostre chiese.  

D. - Quanto è importante l'ecumenismo nella vita di un cristiano?

Se siamo cristiani dobbiamo sentire l'ecumenismo non solo come una missione, ma come una vocazione che ci spinge a fare un passo verso l'altro, verso la conoscenza sincera e verso l'amore evangelico. Se ci mettiamo a giudicare il prossimo, perché non corrisponde ai nostri criteri, allora restiamo chiusi in noi stessi. Ma se l’accogliamo con amore, se ci avviciniamo fraternamente senza pregiudizi al prossimo bisognoso, accogliamo Cristo stesso. Penso che sia questa la missione della Chiesa tutta intera e per questo obbiettivo dobbiamo pregare, nella preghiera comunitaria ma anche personale. La preghiera per l'unità non deve mai mancare. 

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23 gennaio 2020, 15:11