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Pizzaballa: la Chiesa in Terra Santa può diventare esperienza di pace

Nell'omelia di Capodanno, l’arcivescovo di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, invita ad annunciare "con la vita ma anche con le parole, il Vangelo di giustizia e di pace" che è stato consegnato alla Chiesa

Emanuela Campanile - Città del Vaticano

Non una riflessione sulla Parola di Dio proclamata, ma sul significato della Giornata Mondiale della Pace e sul messaggio di Papa Francesco diffuso per l'occasione a tutto il mondo. Dunque, "un'eccezione alla regola" - come spiega all'inizio della sua omelia per la Messa di Capodanno, monsignor Pierbattista Pizzaballa - che offre l'occasione all'amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme - di declinare la parola pace e dialogo in uno dei contesti internazionali più travagliati:

"Il messaggio che il Santo Padre ci ha consegnato quest’anno è per noi particolarmente significativo: La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica. Onestamente, dobbiamo riconoscere che sono parole piuttosto lontane dalla nostra esperienza attuale qui, nella nostra Terra Santa. Sembra infatti che da molto tempo non vi sia un dialogo reale, se non in piccole seppur significative istituzioni, in piccole nicchie, insomma, ma non certo tra le autorità, siano esse politiche o religiose o a livello generale. La parola ‘riconciliazione’, inoltre, qui da noi è quasi un tabù". 

Il cammino di speranza

Nonostante le parole dialogo, riconciliazione e conversione ecologica, siano "piuttosto lontane" nella quotidianità della Terra Santa, Pizzaballa indica proprio nel cammino di speranza, la vocazione della Chiesa:

"Siamo dunque senza speranza? Certo che no. La prima parte del titolo del messaggio parla proprio di cammino di speranza. Possiamo allora dire che vogliamo collocarci li, in quel cammino di speranza che è la vocazione propria della nostra Chiesa, e che ci deve portare alla pace".

Non potendo, poi, riflettere sull'intero documento, l'amministratore apostolico si concentra su uno dei termini del messaggio di Papa Francesco, e cioè, il dialogo. Parola che per molti "è diventata fastidiosa" perchè, spiega, "vediamo che la realtà è opposta a quanto diciamo continuamente". Tuttavia, "il dialogo è costitutivo per qualsiasi prospettiva di pace:

"La pace, infatti, è allo stesso tempo il frutto del dialogo, ma anche la sua premessa: il dialogo vero e sincero porta alla pace nelle relazioni; allo stesso tempo, per dialogare seriamente è necessario avere un desiderio di pace e di incontro".

Da Paolo VI ad oggi

A distanza di più di cinquant'anni dal Concilio Vaticano II e dall'Enciclica Ecclesiam suam, che hanno fatto del dialogo l'"asse centrale" dell'annuncio della Chiesa, "dobbiamo fare i conti - prosegue monsignor Pizzaballa - con i tanti fallimenti che ci spingono a guardare a questo tema con maggiore disincanto rispetto al santo papa Paolo VI". Non solo da un punto di vista generale, in cui si registra un aumento dei conflitti nel mondo, divisioni sociali e all'interno delle famiglie, nostalgie identitarie e percezione delle religioni "come fattori contrari alla coabitazione e fomentatrici di violenza", ma anche da un punto di vista locale. Spiega infatti l'amministratore apostolico: 

"Nel nostro contesto locale dobbiamo fare i conti con i fallimenti dei tanti colloqui su possibili accordi di pace tra israeliani e palestinesi, con il fallimento degli accordi già raggiunti, con la violenza continua. Dobbiamo fare i conti con la sfiducia generale per possibili nuove prospettive, per il desiderio di pace, per un cambiamento possibile. Parliamo insomma di dialogo e di pace quando vengono gli stranieri e nei vari convegni organizzati all’estero, ma sappiamo nel nostro cuore che la realtà qui è diversa e che il dialogo è lontano dalla nostra vita reale".

No alla rassegnazione

Ma non tutto è perduto e, rassegnarsi, sarebbe una grave mancanza di fede: 

"La fede è dialogo con Dio, è incontro con Lui. Non illudiamoci, se non sappiamo dialogare tra noi, non sappiamo nemmeno farlo con Dio. Come possiamo vivere del dialogo con Dio e non essere capaci di dialogo con l’uomo? Il credente deve essere capace di sintesi dentro di sé, fare unità tra ciò che crede e ciò che vive. È una fatica continua, ma che è costitutiva della vita di fede".

La testimonianza della comunità ecclesiale

E' a questo punto che, suggerendo alcuni percorsi possibili, Pizzaballa mette in evidenza quanto sia importante che l'intera comunità ecclesiale di Terra Santa sia "testimone del desiderio di dialogo":

"Fare in modo che ci si senta ascoltati nel proprio dolore"; "respingere le tentazioni della fuga e della rassegnazione"; "evitare il facile compromesso con il potere"; "pregare" perchè "è il primo modo per stare come Chiesa tra gli uomini e Dio"; "condividere fattivamente la fatica e la sofferenza delle vittime, dei deboli e dei poveri, con una carità viva e intelligente"; "opporre alla strategia della contrapposizione e dello scontro, l’arte dell’incontro e del dialogo" e, in fine, "un discernimento" continuo "su cosa e come parlare".

“A chi gli domandava ragione della violenza cieca e arbitraria del suo tempo, il Signore rispose invitando alla conversione, poiché in ogni situazione che ci è dato di vivere, risuona un appello di Dio alla nostra vita”

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02 gennaio 2020, 10:58