2018.12.19 Natale Natività Gesù Bambino Adorazione dei pastori 2018.12.19 Natale Natività Gesù Bambino Adorazione dei pastori 

I Magi nella poesia

I Magi hanno ispirato poeti di ogni tempo. Sono figure misteriose che ci affascinano perché più di ogni altro componente della Natività sembrano somigliare all'uomo moderno. In occasione della solennità dell’Epifania, pubblichiamo alcune delle poesie più significative nella storia della letteratura

Maria Milvia Morciano -  Città del Vaticano

Il Natale è al centro di molte composizioni poetiche e non soltanto nella letteratura religiosa. Anche poeti e scrittori atei hanno sentito l’esigenza di soffermarsi sul mistero della Natività del Signore, raccontandoci l’immagine, quasi un presepe di parole, e soffermandosi sui personaggi salienti, il Bambino primo fra tutti, Maria, i pastori e infine i Magi. Impossibile fornire una panoramica completa, tanti sono gli esempi.

In occasione dell’Epifania, ci soffermiamo su questi misteriosi personaggi che affrontarono un lungo viaggio pur di vedere e adorare il Signore. E ci limitiamo alla poesia, che attraverso la sua suggestione e la sua musicalità riesce ad arrivare dritta al cuore.

Quella che segue è una scelta dei versi più significativi. Appare estremamente interessante come i Magi abbiano agito sulla sensibilità dei poeti. Alcuni offrono l’incanto della visione e si limitano a mettere in versi “i fatti”. Altri vanno più a fondo e offrono motivo di riflessione. Naturalmente questo è dettato anche dal periodo storico in cui le poesie sono state composte e non sfuggirà come, man mano ci si avvicina ai nostri tempi, le parole si facciano più struggenti, intime, tormentate, piene di domande interiori. In realtà i Magi sono i personaggi che più somigliano all’uomo moderno. La loro sete di conoscenza, il loro cercare, di fronte al fatto che nessuna ragione, nessuno studio, nessuna sapienza possono decifrare il mistero dell’Incarnazione se non con gli occhi della fede.

Il viaggio dei Magi è ambientato in un paesaggio freddo e accidentato che contrasta con il tepore della grotta. Nel buio, rischiarato solo da stelle fredde e la cometa, splende la luce della Nascita.

In quei giorni è avvenuto l’incredibile. Una stella cammina nel cielo e guarda e parla con Maria. Il mondo si è rovesciato. Brillano i broccati e le pietre preziose che rivestono i Magi, ma sono cose che sembrano non avere più valore. I poveri pastori sono i primi ad accorrere, i primi ad aver compreso e soprattutto creduto. I Magi arrivano più tardi, una condizione che conosciamo bene quando spostiamo le statuine del presepe che li raffigurano, ogni giorno un po’ più vicino alla capanna. Ma non c’è rivalsa né vendetta. I Magi sono accolti in quella notte di speranza. Chiunque è benvenuto. Il Bambino ci tende le braccia.

Dialogo tra i Magi e Maria di Efrem il Siro
(Nisibis 306 – Edessa 373)

I magi: “A noi una stella ha annunciato
che Colui che è nato è il re dei cieli.
Tuo figlio ha il potere sugli astri,
essi sorgono soltanto al suo ordine”.

Maria: “E io vi dirò un altro segreto,
perché siate convinti:
restando vergine,  io ho partorito mio figlio.
Egli è il figlio di Dio. Andate, e annunciatelo!”

I magi: “Anche la stella ce l'aveva fatto conoscere,
che figlio di Dio e Signore è il tuo figlio”.

Maria: “Altezze e abissi ne rendono testimonianza;
tutti gli angeli e tutte le stelle:
Egli è il figlio di Dio e il Signore.
Portate l'annuncio nelle vostre contrade,
che la pace si moltiplichi nel vostro paese”.

I magi: “Che la pace del tuo figlio
ci conduca nel nostro paese,
con sicurezza, come noi siamo venuti,
e quando il suo potere dominerà il mondo,
che Egli visiti e santifichi la nostra terra”.

Adoriamo il Messia o  La natività di Nostro Signore di Lucrezia Tornabuoni De' Medici
(Firenze 1427 - 1482)

Venite, angioli santi,
e venite suonando;
venite tutti quanti,
Gesù Cristo laudando
e la gloria cantando
con dolce melodia.
Ecco ‘l Messia.

Pastor, pien di ventura
che state qui a vegghiare,
non abbiate paura:
sentite voi cantare?
Correte ad adorare
Gesù con mente pia.
Ecco ‘l Messia.

Vo ‘l troverete nato
tra ‘l bue e l’asinello,
in vil panni fasciato
e già non ha mantello:
ginocchiatevi a quello
ed a santa Maria.
Ecco ‘l Messia.

I Magi son venuti,
da la stella guidati,
coi lor ricchi tributi,
in terra ginocchiati
e molto consolati,
adorando il Messia,
e la Madre Maria.

I tre Santi di Heinrich Heine
(Düsseldorf  1797 – Parigi 1856)

I tre santi Re Magi d'Oriente
chiedevano fermandosi in ogni città:
"O donne, o fanciulle, sapreste dirci
la strada per Betlemme dove va?"
Né giovani né vecchi lo sapevano
e essi riprendevano il tragitto,
ma una cometa dalla chioma d'oro
or li guidava come una lanterna.

La stella sulla capanna di Giuseppe
alfine si fermò e i santi tre re Magi

alla soglia si poterono affacciar;
muggiva il bue, piangeva il bambinello,
e i Re Magi cominciarono a cantar.

Mattino di Arthur Rimbaud 
(Charleville 1854 – Marsiglia 1891)

Non ho forse avuto una volta una giovinezza amabile, eroica, favolosa, da iscrivere su fogli d'oro, - troppa grazia! Per quale delitto, per quale errore, ho meritato la mia attuale debolezza? Voi che pretendete che le bestie scoppino in singhiozzi di dolore, che i malati disperino, che i morti facciano brutti sogni, cercate di raccontare la mia caduta e il mio sogno. Quanto a me, non so spiegarmi meglio del mendicante coi suoi continui Pater e Ave Maria. Io non so più parlare!

Eppure, oggi, credo d'aver finito la relazione del mio inferno. Era proprio l'inferno; l'antico, quello di cui il figlio dell'uomo aprì le porte.

Dallo stesso deserto, la stessa notte, sempre i miei occhi stanchi si risvegliano alla stella d'argento, sempre, senza che si commuovano i Re della vita, i tre magi, il cuore, l'anima, lo spirito. Quando andremo, al di là dei lidi e dei monti, a salutare la nascita del nuovo lavoro, la saggezza nuova, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare - per primi! - Natale sulla terra!

 Il canto dei cieli, la marcia dei popoli! Schiavi, non malediciamo la vita.

I re Magi Gabriele D'Annunzio
(Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938)

Una luce vermiglia
risplende nella pia
notte e si spande via
per miglia e miglia e miglia.

O nova meraviglia!
O fiore di Maria!
Passa la melodia
e la terra s'ingiglia.

Cantano tra il fischiare
del vento per le forre,

i biondi angeli in coro;
ed ecco il Baldassarre
Gaspare e Melchiorre,
con mirra, incenso e oro.

I Magi di William Butler Yeats
(Dublino 1865 – 1939)

Or come un tempo
nell’occhio della mente io scruto,
nei loro freddi abiti dipinti,
inappagati e scialbi;

nel blu profondo appaiono del ciel
e poi scompaiono
coi loro volti antichi,
scarniti come pietre dalla pioggia
a lungo tormentate,
coi loro elmi argentei
di luogo in luogo erranti,
coi loro occhi fissi
perennemente in cerca,
mai paghi pel travaglio del Calvario
imperscrutabile mistero
su questo suol brutale.

Canzone dell’Epifania di Angiolo Silvio Novaro
(Diano Marina 1866 – Oneglia 1938)

Pastorelli, pastorelli
che passate prati e ruscelli
con in braccio la cornamusa
e gioia sul viso diffusa,
dove andate così snelli?

Udiste, forse, qualche dolce nuova
che il cuore vi muova?
E voi re magi dalla ricca sella
che camminate dietro la stella
portando un sacco di doni,
e parete così buoni
con la barba e l’occhio mite,
chi cercate? Dite, dite,
e i tesori a chi l’offrite?

Oh, se andate a Betelemme
con quel càrico di gemme
deh, pigliatemi con voi!
Ch’io lo veda il Fanciullino
fasciato nel pannolino
tra l’asino e il bue suoi
che gli fumano vicino!

Dentro l’umile capanna
con la Vergine Maria
Sant’Elisabetta e Sant’Anna
San Giuseppe e Zaccaria
inginocchiato io stia
contemplando il buon Gesù
custodito da lassù!

Mentre voi cari pastori
soffiate negli otri sonori,
e voi serviti dai valletti mori
aprite, re magi, i tesori,
devotamente io l’adori
e piegato a lui leggiero
gli abbandoni il cuore intero.

La stella di Edmond Rostand
(Marsiglia 1868 – Parigi 1918)

Persero un giorno la stella.
Com'è possibile perdere la stella?
Per averla fissata troppo a lungo...
I due re bianchi, ch’erano due sapienti di Caldea,
col bastone tracciarono sul suolo grandi cerchi.

Si misero a far calcoli, si grattarono il mento...
Ma la stella era scomparsa
come scompare un’idea,
e quegli uomini, l'anima dei quali
aveva sete di essere guidata,
piansero drizzando le tende di cotone.

Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
disse a se stesso: "Pensiamo alla sete
che non è la nostra.

Occorre dar da bere, lo stesso, agli animali".
E mentre reggeva il suo secchio,
nello spicchio di cielo
in cui si abbeveravano i cammelli
egli scorse la stella d’oro che danzava silente.

Epifania di Francis Jammes
(Tournay 1868 – Hasparren 1938)

“Non ho come i Magi
che sono ritratti nelle immagini
dell'oro da donarti”.
"Dammi la tua povertà”.
"Non ho nemmeno, Signore,
la mirra dal buon profumo
e neppure l'incenso in tuo onore”.
"Figlio mio, dammi il tuo cuore”.

Quanto manca a Betlemme? di Frances Blogg Chesterton
(1869 Bloomsbury – 1938 Beaconsfield)

Quanto manca a Betlemme?
Siete quasi alla meta.
Troveremo una stalla
sotto una stella cometa?
Il bimbo appena nato
potremo visitare?
Levando il chiavistello
ci lasceranno entrare?
L’asino, il bue, le pecore potremo accarezzare?
Gesù Bambino che dorme potremo contemplare?
Se lo accarezzeremo si sveglierà?
Saprà che siam venuti apposta fino qua?
I Re ricchi doni
e noi invece nulla,
solo sorrisi e lacrime offriamo alla tua culla.
Per tutti i bimbi stanchi pianger Maria dovrà.
Disteso sulla paglia il bimbo dorme già.
Dio in braccio alla madre,
bambini nel capanno
dormono come dorme chi ha il cuore senza affanno!

I santi re magi di R. Maria Rilke
(Praga 1875 – Montreux 1926)

Un giorno, quando al limitare del deserto
si dischiuse la mano del Signore,
come un frutto aperto al tempo estivo
annuncia il nocciolo che ha dentro,
accade un prodigio: da lontano
s'incontrarono e si scambiarono saluti
tre re e una stella

Tre re di lunga strada
e la stella che ovunque sovrastava
si mossero concordi (pensa!):
un re alla destra e uno alla sinistra,
alla volta di uno stabbio silenzioso.

Che cosa non portarono con sé
alla stalla di Betlemme!
Echeggiava vasto intorno ciascun passo
e colui che un morello cavalcava
comodo sedeva nel velluto.

Chi andava alla sua destra
era un uomo rivestito tutto d'oro,
e che stava alla sinistra cominciò -
in gesti ripetuti tintinnando,
uno squillo e un altro squillo facendo risuonare - 
da un oggetto argenteo a forma tonda,
a spandere un azzurro fumo intorno.

Rise, allora, la stella sopra loro,
e corse avanti e si fermò alla stalla
e disse a Maria: Un pellegrinaggio io ti sto portando
da grandi lontananze a questo luogo.

Tre re molto potenti,
pesanti d'oro e di topazi -
e scuri, torbidi nel loro paganesimo:
ma non ti spaventare più del giusto.

Tutt'e tre hanno in casa
dodici figlie e nessun figlio,
e ti pregano così di dare il tuo
come un sole al blu del loro cielo,
come gioia calda al loro trono.

Ma non devi credere davvero
che il tuo figlio abbia il destino
di diventare un principe brillante,
e neppure uno sceicco dei pagani.

Pensa, il cammino è vasto,
Vagano da tanto, come pastori,
e nel frattempo il loro regno
come un frutto maturo cade
a Dio sa chi nel grembo.

E mentre qui, come vento caldo d'occidente,
alita il bue nel loro orecchio,
già tutti forse son poveri,
oppure come senza testa.

Fa’ luce tu col tuo sorriso
per questo sul confuso
mondo ch'essi sono, offri tu
il tuo viso verso oriente, e il tuo bambino;
là è disteso in linee azzurre
ciò che ognuno di loro vuole darti:
il paese di Smeralda e di Rubinia. 
e la valle del Turchese.

Il Viaggio dei Magi di T. S. Eliot
(Saint Louis 1888 – Londra 1965)

Fu un freddo avvento per noi,
Proprio il tempo peggiore dell’anno
Per un viaggio, per un lungo viaggio come questo
Le vie fangose e la stagione rigida
Nel cuore dell’inverno.
E i cammelli piagati, coi piedi sanguinanti, indocili
Sdraiati nella neve che si scioglie.
Vi furono momenti in cui noi rimpiangemmo
I palazzi d’estate sui pendii, le terrazze,
E le fanciulle seriche che portano il sorbetto.
Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevano
E disertavano, e volevano, donne e liquori,
E i fuochi notturni s’estinguevano, mancavano ricoveri,
E le città ostili e i paesi nemici
Ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo:
Ore difficili avemmo.
Preferimmo viaggiare di notte,
Dormendo solo a tratti,
Con le voci che cantavano agli orecchi, dicendo
Che questo era tutta follia.

Poi all’alba giungemmo a una valle più tiepida,
Umida, sotto la linea della neve, tutta odorante di vegetazione;
Con un ruscello in corsa ed un molino ad acqua che batteva il buio,
E tre alberi contro il cielo basso,
E un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato.
Poi arrivammo a una taverna con l’architrave coperta di pampini,
Sei mani ad una porta aperta giocavano a dadi monete d’argento,
E piedi davano calci agli otri vuoti.
Ma non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo
Ed arrivati a sera non un solo momento troppo presto
Trovammo il posto; cosa soddisfacente voi direte.

Tutto questo fu molto tempo fa, ricordo,
E lo farei di nuovo, ma considerate
Questo considerate
Questo: ci trascinarono per tutta quella strada
Per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
Ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo detto nascita e morte
Ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu
Come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte
Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri Regni,
Ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
Fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un’altra morte.

La stella di Natale di Boris Pasternak
(Mosca 1890 - 1960)

Era inverno.
Soffiava il vento della steppa.
E tremava il neonato nella grotta
sul crinale della collina.
Il fiato del bue lo riscaldava.

Animali domestici stavano nella grotta,
sulla mangiatoia aleggiava un tiepido vapore.
E lì accanto, mai scorta fino allora,
più discreta d'un lucignolo
alla finestra d'un capanno,
riluceva una stella sulla via di Betlemme.

Una gran folla si assiepava presso la collina.
Albeggiava. Comparivano i tronchi dei cedri.
E a loro: "Chi siete?" chiese Maria.
Noi, stirpe pastori e messaggeri del cielo,
siamo qui per cantare lodi a voi due.
“Non si può, tutti insieme.
attendete sulla soglia”

Albeggia. Dalla volta celeste l'alba scacciava,
come granelli di polvere, le ultime stelle.
E dalla gran folla solo i Magi
Maria lasciò entrare nella grotta.
I Magi, nell'ombra, in quella stalla buia
bisbigliavano, trovando a fatica le parole.

A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
con la mano trasse un po' a sinistra
dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
e quello si volse: dalla soglia, come fosse in visita,
alla Vergine guardava la stella di Natale.

Il presepe di Salvatore Quasimodo
(Modica 1901 – Napoli 1968)

Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.

Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.

Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende
e l’asinello di colore azzurro

Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?

Sonetto d’Epifania di Giorgio Caproni
(Livorno 1912 – Roma 1990)

Sopra la piazza aperta a una leggera
aria di mare, che dolce tempesta
coi suoi lumi in tumulto fu la sera
d’Epifania! Nel fuoco della festa
rapita, ora ritorna a quella fiera
di voci dissennate, e si ridesta
nel cuore che ti cerca, la tua cera
allegra – la tua effigie persa in questa
tranquillità dell’alba, ove dispare
in nulla, mentre gridano ai mercati
altre donne più vere, un esitare
d’echi febbrili (i gesti un dì acclamati
al tuo veloce ridere) al passare
dei fumi che la brezza ha dissipati.

Naufraghi sempre in questo infinito,
eppure sempre a tentare, a chiedere,
dietro la stella che appare e dispare,
lungo un cammino che è sempre imprevisto.

Magi, voi siete i santi più nostri,
i pellegrini del cielo, gli eletti,
l’anima eterna dell’uomo che cerca,
cui solo Iddio è luce e mistero.

Epifania di Mario Luzi
(Castello di Firenze 1914 – Firenze 2005)

Notte, la notte d’ansia e di vertigine 
quando nel vento a fiotti interstellare, 
acre, il tempo finito sgrana i germi 
del nuovo, dell’intatto, e a te che vai 
persona semiviva tra due gorghi 
tra passato e avvenire giunge al cuore 
la freccia dell’anno... e all’improvviso 
la fiamma della vita vacilla nella mente. 
Chi spinge muli su per la montagna 
tra le schegge di pietra e le cataste 
si turba per un fremito che sente 
ch’è un fremito di morte e di speranza.

In una notte come questa, 
in una notte come questa l’anima, 
mia compagna fedele inavvertita 
nelle ore medie 
nei giorni interni grigi delle annate, 
levatasi fiutò la notte tumida 
di semi che morivano, di grani 
che scoppiavano, ravvisò stupita 
i fuochi in lontananza dei bivacchi 
più vividi che astri. Disse: è l’ora. 
Ci mettemmo in cammino a passo rapido, 
per via ci unimmo a gente strana.

Ed ecco 
Il convoglio sulle dune dei Magi 
muovere al passo dei cammelli verso 
la Cuna. Ci fu ressa di fiaccole, di voci. 
Vidi gli ultimi d’una retroguardia frettolosa. 
E tutto passò via tra molto popolo
e gran polvere. Gran polvere.

Chi andò, chi recò doni 
o riposa o se vigila non teme 
questo vento di mutazione: 
tende le mani ferme sulla fiamma, 
sorride dal sicuro 
d’una razza di longevi. 

Non più tardi di ieri, ancora oggi.

Epifania di David Maria Turoldo
(Coderno 1916 – Milano 1992)

Eran partiti da terre lontane:
in carovane di quanti e da dove?
Sempre difficile il punto d’avvio,
contare il numero è sempre impossibile.

Lasciano case e beni e certezze,
gente mai sazia dei loro possessi,
gente più grande, delusa, inquieta:
dalla Scrittura chiamati sapienti!

Le notti che hanno vegliato da soli,
scrutando il corso del tempo insondabile,
seguendo astri, fissando gli abissi
fino a bruciarsi gli occhi del cuore!

Raccontino per il 5 gennaio di P. Gherardo Del Colle
(Cesino 1920- Pontedecimo 1978)

A sera, terminate le preghiere
della vigilia dell'Epifania,
il nonno favoleggia al nipotino
persuadendolo al sonno: "Se profondo
sarà il tuo sonno fino a domattina,
anche qui - anche qui
alla nostra casina -
sosteranno nel cuore della notte
i tre Magi d'Oriente che ogni anno
di questi dì
si mettono in cammino per il mondo
ricercando Gesù....".
Il nipotino
non piagnucola più. Dorme. E già sogna
i tre Magi d'Oriente sopra enormi
cammelli; e un agitarsi di mantelli
e di vessilli e di cimieri: frotte
di cavalieri ed uno stuolo immenso
di servitù con mobili ed anella
tempestate di gemme; ed una stella
che riluce lassù: la bella stella
che riporta a Betlemme
i buoni Magi e i loro buoni doni 
d'oro
e di mirra e d'incenso per Gesù...
E continua a dormire il nipotino,
e continua a sognare. Ed il nonnino
ricolma via via
di lucenti regali
le scarpettine esposte ai davanzali
nella vigilia dell'Epifania.

L’incantato della stella di Roberto Mussapi
(Cuneo 1952)

Fu un lungo viaggio, duna su duna, per gli scribi.
Per me fu breve, breve in confronto
all’immobile mappa delle stelle.

Sapevo che il nostro destino era la pista,
o uscirne, perdersi nelle sabbie,
lentezza era lo sguardo degli astri,
che ho conosciuto, studiandone posizione e luce.

I segni del cielo, le rotte eterne,
e noi scivolanti come onde verso una morte lieve
come la carezza di una donna al tramonto.

Conoscevo la perfezione celeste e il breve respiro
umano che si estingue dopo un atto d’amore.
La vita, svanire prima dell’orizzonte.
Ho conosciuto il cosmo e le teorie caldaiche,
le pietre che sfiammano del ricordo di Venere,
i disegni del cielo gelosamente custoditi nei tappeti.

Poi la grotta e fu buio e respiro
animale e povere membra, e una lontana
oscurità rasoterra, più lontana delle stelle,
io non guardai dentro, io provai pena
del tanfo, del povero calore di corpi raccolti.

E uno ne guardai che mi passava accanto,
con gli occhi fissi rapiti da una stella.
Bruno, sporco, con le spalle chiuse da idiota
beveva la luce come eternamente,
eternamente io lo ricorderò, lo racconto.

Perché non fu riflesso ma scontro,
tra quella luce a me nota e un’altra oscura
che in modo assoluto lo incatenava al cielo.
Che luce, che fonte, che pietra stupefacente
orientò lo sguardo e il corpo e il suo destino nel mondo?

Perché io ero già in lui e lo scrutavo
come avevo scrutato gli enigmi celesti,
e non conosco la luce del profondo,
il fiato della caverna ventricolare e del buio
e la mappa disegnata e persa nella sua ignota esistenza.

Che strada, che pista, che dune alzate dal vento
portano a quel segreto entro te stesso?
Dov’era la luce, in alto o in basso?
E io come farò a non perdermi
per esplorare un nuovo universo
quando ti seguirò nel buio del tuo mondo interno,
su quali punti orienterò il mio viaggio
cercando la rotta oscura che proiettò il tuo sguardo,
tu, pezzo di terra,
fangoso simile, fratello?

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05 gennaio 2020, 10:16