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Auza all’Onu: spazio alle donne per la pace e la sicurezza del mondo

Forte richiamo dell’osservatore permanente della Santa Sede, rivolto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché siano onorati gli impegni sottoscritti 20 anni fa nella storica risoluzione su “Donne, Pace e Sicurezza”.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Ancora troppo spesso vittime nei conflitti armati, dimenticate nei processi di pace e sicurezza. Ciò che serve per valorizzare il ruolo delle donne nel mondo è andare oltre gli impegni verbali. Così l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, intervenuto ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu, nel dibattito aperto in vista del ventesimo anniversario, che cadrà il prossimo anno, della storica Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, approvata all’unanimità il 31 ottobre 2000.   

Le voci delle donne dimenticate

Da quella data, certo “sono stati compiuti progressi”, ha osservato mons. Auza: “le voci delle donne sono sempre più sentite e, in molti luoghi, viene dato più spazio al loro contributo unico nel perseguimento della pace e della riconciliazione”. “Tuttavia, - ha riscontrato il presule - resta ancora molto da fare per aumentare la rappresentanza femminile in questo importante settore”. Grandi differenze, “che derivano principalmente da fattori socio-culturali", segnano infatti ancora la condizione delle donne nel mondo, come sottolineato recentemente da Papa Francesco.

Vittime di violenze nei conflitti armati

Le donne sono spesso le prime vittime di violenze, di cui raramente sono causa e autrici e sopportano il maggior peso dei conflitti, come gli sfollamenti e la privazione di beni e servizi essenziali, che si ripercuotono sulla loro salute e benessere sociale e su quello delle persone di cui si prendono cura. Sono inoltre oggetto di violenze sessuali usate “come arma di guerra”. Tutto ciò - ha ammonito il presule - “deve essere, in ogni momento e in ogni luogo, fermamente condannato”. Servono “sforzi più efficaci perché non vengano commessi crimini così atroci” e perché gli autori siano “consegnati alla giustizia”. “L’impunità diffusa di tali azioni, come ancora accade in situazioni di conflitto, deve essere affrontata se si vuole che tali crimini diminuiscano”.

Escluse dai processi di pace

Donne vittime delle guerre ma anche protagoniste nel promuovere la pace e la riconciliazione nelle famiglie e nelle comunità entrate in conflitto. Eppure – ha denunciato il rappresentante vaticano – sono ancora “sovente escluse dai colloqui e dai programmi che cercano di trovare soluzioni che servano alla causa di una pace duratura”. E’ importante invece, ha raccomandato mons. Auza “che il loro genio e le loro insostituibili competenze siano sfruttate nei processi decisionali nazionali, regionali e internazionali”. “Continuare ad escludere la piena partecipazione delle donne in ogni fase ed aspetto dei processi di pace – ha ammonito il presule - significherebbe venire meno agli impegni assunti dopo l’approvazione della Risoluzione 1325”. Questo vale anche per le operazioni di pace dell’Onu, perché siano più sensibili ai bisogni fondamentali delle donne e delle ragazze, favorendo per questo anche la presenza di donne uniforme.

L’impegno delle religiose contro gli abusi

Un omaggio particolare, ha rivolto il rappresentante della Santa Sede, alle migliaia di religiose cattoliche, che - spronate dall’esempio di madre Teresa di Calcutta, 40 anni fa Premio Nobel per la pace - lavorano in ogni angolo del mondo “per promuovere la dignità e l’emancipazione delle donne”, fattore strategico “anche se non dichiarato, per costruire e mantenere società pacifiche”. Donne religiose che rispondono “alle sfide dell’orrore della tratta di esseri umani e di altri abusi che donne, uomini, ragazzi e ragazze subiscono”, come le suore cattoliche riunite nella rete internazionale “Talitha Kum”, fondata 10 anni fa, che ha assistito più di 15 mila vittime e ne ha raggiunte altre 200 mila attraverso le sue iniziative di sensibilizzazione e prevenzione. “Queste donne di pace e solidarietà, dentro e fuori dalle situazioni di conflitto, - ha ricordato con ammirazione l’arcivescovo Auza - corrono ad assistere coloro che soffrono le conseguenze delle guerre e del sottosviluppo e danno l'esempio all'intera comunità internazionale di fronte alle cause profonde del conflitto e della disuguaglianza”.

Appello all’Onu: fatti e non solo parole

Infine l’appello diretto dell’osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio di Sicurezza perché sappia andare oltre le parole e realizzi con i fatti “l'integrazione delle donne nei processi di pace” per “portare risultati più profondi, più profondi e duraturi per il bene di tutti”.

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05 novembre 2019, 14:34