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San Francesco d'Assisi e il Sultano d'Egitto San Francesco d'Assisi e il Sultano d'Egitto 

Pizzaballa: 800 anni dopo San Francesco in Terra Santa, è necessario il dialogo

Nell’ambito delle manifestazioni organizzate a Gerusalemme dalla Custodia di Terra Santa, che in questi giorni celebra gli 800 anni del Pellegrinaggio di pace di San Francesco e l’incontro che il Poverello di Assisi ebbe col Sultano d’Egitto Al-Malik Al-Kamil, intervista di Vatican News all’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme

Silvonei José Protz - Gerusalemme

Proseguono a Gerusalemme le manifestazioni organizzate dalla Custodia di Terra Santa che in questi giorni celebra gli 800 anni del Pellegrinaggio di pace di San Francesco, che nei luoghi di Gesù sostò fino al 1220, e l’incontro che il Poverello di Assisi ebbe col Sultano d’Egitto Al-Malik Al-Kamil. San Francesco fu pellegrino e testimone di pace in Terra Santa, superando la logica dello scontro di civiltà per credere nella possibilità dell’incontro fraterno con ogni creatura. Un linguaggio e un’apertura d’animo oggi sempre più necessari. Lo evidenzia l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme.

L'intervista all'arcivescovo Pizzaballa

R. – Quella di San Francesco e il Sultano è l’immagine che ci serve per riprendere il dialogo che è sempre stato molto sofferto, ma che oggi è necessario più che mai: il dialogo tra la Chiesa, tra il mondo cristiano e il mondo islamico. Le migrazioni, i cambiamenti, i grandi problemi sociali che ci sono rendono sempre più necessario e sempre più evidente questo dialogo, che non può essere solo politico, sociale o economico ma dev’essere anzitutto religioso e culturale. 

Quindi l’immagine di San Francesco con il Sultano è potente, seguita quest’anno dal viaggio di Papa Francesco ad Abu Dhabi.

Nel giorno di San Francesco, il 4 ottobre, ai Giardini Vaticani si svolgerà una celebrazione alla presenza del Papa: verrà piantato un albero, ricordando un altro albero, quello dei presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas, incontrati nel 2014. Quest’anno, anche guardando al Sinodo, il pensiero sarà rivolto al creato…

R. - Piantare un albero oggi è un gesto abbastanza comune, ma significativo: indica gettiamo un seme, poi gli alberi cresceranno lentamente, mettendo le radici, diventando fortissimi e indistruttibili. Il segnale è questo: stiamo gettando il seme, stiamo creando una nuova prospettiva che avrà bisogno di tempo e dovrà crescere. Però l’albero, per vivere, ha bisogno anche di essere mantenuto, quindi ha bisogno di acqua, ha bisogno di cura. Dobbiamo dunque avviare questo percorso e curare le relazioni tra di noi in modo che questo albero cresca con sempre maggiore vigore.

Francesco è venuto come pellegrino in Terra Santa: che cosa ha lasciato in questi luoghi?

R. - San Francesco ha lasciato un’eredità importante: ha lasciato qui una presenza francescana che ha 800 anni, ha legato la vita della Chiesa a questa terra. Se noi ricordiamo la storia della Salvezza, dobbiamo ricordarci anche del luogo dove la storia della Salvezza è avvenuta, la geografia della Salvezza, che è la Terra Santa, e ha permesso così di rendere il messaggio cristiano non solo un messaggio ma una realtà che possiamo incontrare.

Dopo è venuto un altro Francesco, il Papa: quali i semi del suo viaggio?

R. - Ha lasciato tantissimi semi qui: l’incontro tra Bartolomeo e Papa Francesco, quindi l’incontro tra le Chiese; l’incontro con i capi religiosi non cristiani, ebrei e musulmani. I semi sono stati piantati: ora spetta a noi fare crescere questo albero.

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02 ottobre 2019, 12:43