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Cerimonia del premio "Don Andrea Santoro" Cerimonia del premio "Don Andrea Santoro" 

Il Premio Don Andrea Santoro: il bene che si semina rimane nel cuore

Consegnato a Roma il “Premio Don Andrea Santoro”. I premiati sono Isabella Bencetti, che assieme al marito Luigi, morto alcuni anni fa, è stata in Perú, padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime nelle Filippine, suor Marzia Feurra e suor Anna Bacchion che vivono a Gibuti, e la Comunità Missionaria Intercongregazionale di Haiti, formata da tre sorelle, che portano aiuto alla popolazione dopo il terremoto del 2010

Debora Donnini – Città del Vaticano

La Chiesa di Roma non dimentica don Andrea Santoro, eroico testimone dei nostri giorni, ma “ne vuole tenere viva la memoria”. Così il cardinale vicario, Angelo De Donatis, ha aperto stamattina a Roma la prima edizione della consegna del Premio dedicato, appunto, al sacerdote fidei donum assassinato in Turchia nel 2006 mentre pregava con la Bibbia fra le mani. Un evento, questo della premiazione, che si inscrive nel Mese Missionario Straordinario Ottobre 2019: occasione, dice il porporato, per “ascoltare con il cuore il grido del mondo”. Ma anche per portare la pace, per mostrare l’amore di Dio. Così come hanno fatto nei diversi Continenti i missionari che oggi hanno ricevuto questo premio.

Suor Marzia e il dialogo non tanto di parole ma di vita

Fra questi, suor Anna Bacchion e suor Marzia Feurra, Missionarie della Consolata a Gibuti, dove sono impegnate in diversi servizi fra cui un forte sostegno alle donne. Nell’intervista a Vatican News, suor Marzia manifesta tutta la sua emozione: “Mai ci saremmo aspettate, una giornata come questa”, dice, “perché noi siamo abituate a lavorare nel silenzio, nel nascondimento”. Prima di Gibuti, suor Marzia ha vissuto per 40 anni in Somalia dove nel 1998 venne rapita. Quella che in un primo momento sembrava una disgrazia, racconta, “alla fine, per come sono andate le cose, abbiamo dovuto dire che è stata una Pentecoste”. Furono le donne musulmane di Mogadiscio a costringere, con un sit-in pacifico, i rapitori a liberarla. “Ci siamo chiesti - ricorda - chi abbia mosso tutte queste donne musulmane a mettersi sulla strada a gridare spontaneamente: ‘Noi vogliamo la nostra suora!’”, accerchiando la casa dove era trattenuta e non muovendosi fino al rilascio. “Questo per me è stata una conferma che il bene che si semina rimarrà sempre nel cuore di tutti, piccoli e grandi”, afferma raccontando anche come negli anni trascorsi in Somalia, abbia lavorato con i bambini in ambito sanitario e che 16, di questi 40 anni, sono stati anni di guerra.  “Anni difficili - sottolinea - anni di rischio, anni anche di paura in un certo senso, ma sono stati gli anni più belli che io ho vissuto in Somalia, perché li ho vissuti proprio intimamente con la gente, ho rischiato con loro, ho vissuto la povertà con loro … tutte le barriere sono cadute perché eravamo tutte deboli allo stesso modo e davanti a Dio nessuna aveva delle pretese da avanzare”. “Non è tanto un dialogo di parole, quanto abbiamo vissuto un dialogo di vita”, testimonia. Ora suor Marzia vive a Gibuti dove si occupa di promozione della donna, aiutando le ragazze che non hanno documenti. “Facciamo loro un po’ di scuola, un po’ di alfabetizzazione e un po’ insegniamo a cucire, a fare dei lavoretti in modo che un domani possano guadagnarsi la vita”, spiega aggiungendo che “quest’anno c’è stata un’affluenza grandissima” e non sono riusciti ad inserirle tutte: per loro, “la gioia più grande è imparare a cucire a macchina” perché così possono aiutare anche le famiglie.

Ascolta l'intervista a suor Marzia

Padre D'Ambra e l'esperienza del martirio

Dall’altro capo del mondo, nelle Filippine, in particolare a Mindanao da oltre 40 anni vive padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime. Qui ha creato un movimento di dialogo con i musulmani da cui poi è scaturita l’esperienza della Comunità Emmaus, un piccolo gruppo di donne consacrate con il carisma specifico di dialogo con l’Islam. Nel ricevere il Premio, anche lui è emozionato. “Cerco di dire a tutti che il martirio non è una cosa di secoli passati ma una cosa attuale”, afferma richiamando, nell’intervista a Vatican News, anche l’esperienza di un suo confratello, padre salvatore Carzedda, ucciso nel ’92 mentre portava avanti anche lui questa esperienza di dialogo nella città di Zamboanga. “Quindi oggi, stando qui, pensando a don Santoro, penso anche a questo amico che è morto. Lavorava insieme a me in questo movimento, purtroppo in quella zona sono entrati gruppi più radicali che non avevano piacere di vedere cristiani e musulmani che lavoravano insieme”, racconta. I primi anni nelle Filippine padre D’Ambra li ha passati a contatto con la comunità musulmana e i gruppi ribelli per il cammino di pace. Tutto questo è stata una preparazione per cominciare nell’84 il movimento di dialogo “Silsilah”, formato da cristiani e musulmani. “Noi crediamo a questo dialogo come un impegno spirituale e parliamo della cultura del dialogo: un dialogo con Dio, con noi stessi, con gli altri, con la creazione”, dice spiegando come questo poi si sviluppi anche a livello di formazione e di solidarietà con i poveri, con i carcerati, con vari gruppi.

Ascolta l'intervista a padre D'Ambra:

I coniugi Bencetti: gratis abbiamo ricevuti, gratis diamo

Il Premio è stato consegnato anche a Isabella Bencetti, moglie di Luigi diacono permanente della diocesi di Roma, scomparso alcuni anni fa. Hanno vissuto per 6 anni in Perù, alla periferia di Lima, in una piccola casa con annessa una cappellina dedicata alla Vergine di Loreto. Una vita, la loro, ricca di 7 figli, 28 nipoti e 8 bisnipoti, che ha continuato a portare frutto in quest’opera di aiuto a circa 40mila persone che vivono nella più assoluta precarietà e non solo economica. “Sento una grande commozione perché chiaramente noi eravamo sempre una coppia molto unita” e oggi “sento che veramente sono unita a lui, che è presente qui”, dice Isabella ricordando come la missione per loro sia stata “un cambiamento di vita molto radicale: abbiamo sentito la forza della fede che ci ha spinti ad andare e a dividere con queste persone”. Luigi, come diacono permanente, poteva battezzare, predicare e commentare il Vangelo, racconta. “Io - dice - ho lasciato mezzo cuore lì e mezzo cuore a Roma”. In questa zona di Lima anche altri diaconi di Roma con le loro mogli hanno sostenuto questa missione “Si lavorava tutti insieme. Li ospitavamo noi in questa casa che ci aveva dato il vescovo. La diocesi di Roma con i diaconi ha collaborato molto, ha impiantato la Chiesa dove ce n’era bisogno”, prosegue Isabella sintetizzando con parole dense di fede il senso della missione: “Gratis abbiamo ricevuto e gratis diamo”.

Ascolta l'intervista a Isabella Bencetti:

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26 ottobre 2019, 16:08