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Giornata del dialogo cristiano-islamico. Cei: dal sospetto alla fiducia

In Italia giunge alla 18.ma edizione la Giornata del dialogo cristiano-islamico, occasione per promuovere un dialogo interreligioso sempre più approfondito, alla luce degli incontri di Assisi e del Documento sulla Fratellanza Umana. Intervista con don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei

Giada Aquilino - Città del Vaticano

È dedicata alla fratellanza umana la Giornata del dialogo cristiano-islamico che si celebra questa domenica in Italia. L’iniziativa interreligiosa, giunta alla 18.ma edizione, ha ricevuto un nuovo impulso dopo la firma nel febbraio scorso ad Abu Dhabi del Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, da parte di Papa Francesco e del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Nata nel 2001 in seguito ai tragici eventi dell’11 settembre, la Giornata ha rilanciato nel tempo la necessità di un dialogo sempre più approfondito in grado di dissipare paure e rimontanti sentimenti xenofobi, prevenendo violenze e radicalizzazioni. Con lo slogan: “Non c’è futuro senza fratellanza e solidarietà”, in programma iniziative a Vicenza, Chiavari, Torino, Verona, Faenza e in molte altre città italiane.

Da Assisi ad Abu Dhabi

“Dopo il 4 febbraio, quando è stato firmato il Documento di Abu Dhabi, la Giornata ha trovato un motivo in più”, spiega a Vatican News don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana (Cei), tra i promotori dell’iniziativa (Ascolta l'intervista a don Savina). “Nata dopo il crollo delle Torri Gemelle, fu scelta - ricorda - una data veramente simbolica, il giorno in cui San Giovanni Paolo II convocò i leader delle religioni del mondo, il 27 ottobre del 1986, ad Assisi. In quell’occasione tutte le religioni si incontrarono per invocare il dono della pace. Questi sono passaggi significativi, perché permettono di dire come le religioni possano essere strumento di dialogo, capaci di condizionare tutti i processi culturali presenti nella nostra società. E di questo c’è tanto bisogno”.

Il 29 giugno alla moschea di Roma

Oltre trent’anni fa, proprio ad Assisi, Papa Wojtyla evidenziò l’esistenza di “un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici” bensì “il risultato della preghiera, che, pur nella diversità di religioni, esprime una relazione con un potere supremo che sorpassa le nostre capacità umane da sole”. Il Documento di Abu Dhabi ha quindi specificato che proprio la fede in Dio “porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”, nella prospettiva della fratellanza umana, salvaguardando il creato e ogni persona, specialmente i più bisognosi e poveri. “L’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso - evidenzia don Savina - ha sempre costruito e intessuto relazioni straordinarie con le presenze musulmane italiane, promuovendo numerosi incontri. Quest’anno ci siamo trovati il 29 giugno nella grande moschea di Roma e lì sono convenuti tutti i rappresentanti del mondo ecumenico e interreligioso del nostro ufficio assieme ai delegati delle rappresentanze delle comunità islamiche presenti in Italia”.

Rispetto e dignità

“È stato veramente un momento storico”, ricorda il direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. “Il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo, ha partecipato con gioia e interesse a questo appuntamento e le rappresentanze islamiche - sottolinea - sono venute tutte, non solo quelle che noi conosciamo ufficialmente come l’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii), il Centro islamico culturale d’Italia (Cici), la Conferenza islamica italiana (Cii), la Comunità religiosa islamica (Coreis), ma c’erano anche le comunità minoritarie, come quelle del Senegal, del Bangladesh, del Pakistan, della Turchia. Abbiamo ripreso in mano il Documento di Abu Dhabi attraverso sei laboratori, preparati e gestiti a due voci, con una presenza al 50% cristiana e al 50% musulmana. È stata un’esperienza veramente significativa, con la possibilità di applicare quelle dinamiche che ci permettono di passare dal sospetto alla fiducia perché richiedono innanzitutto che l’uno impari ad ascoltare l’altro come l’altro ascolta sé stesso. Questa scommessa diventa una promessa di una fratellanza umana dove innanzitutto siano riconosciuti il rispetto e la dignità dell’altro”.

In teatro a San Vittore

In un’epoca di nuovi muri e ricostruite barriere, in “quell’incontro del 29 giugno - prosegue don Giuliano Savina - cristiani e musulmani si sono detti ufficialmente: diamo alla Giornata un ulteriore significato simbolico forte, perché l’Italia, l’Europa, il mondo intero hanno bisogno di questi segni concreti. Il Papa e il Grande Imam che hanno firmato il Documento di fratellanza umana ci chiedono segni concreti. Il fatto stesso che venerdì il segretario generale della Cei, monsignor Russo, si sia trovato nel carcere di San Vittore a Milano per assistere insieme ai fratelli musulmani a uno spettacolo teatrale, “Leila della tempesta”, condividendo l’evento con i detenuti e le detenute lì presenti, con chi lavora nel carcere di San Vittore e con tutti i volontari che prestano un servizio straordinario nel carcere, questo è un fatto concreto. Le riflessioni sulla fede, sulla religione, sulla libertà religiosa, sul bisogno di spazi e di riconoscimento perché ciascuno possa pregare e possa vivere la propria esperienza religiosa sono fatti straordinari, segni concreti che si devono sbriciolare all’interno del nostro territorio”.

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26 ottobre 2019, 13:18