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Il Patriarca Bartolomeo e l’Amazzonia “sorgente di vita”

Nel 2006 il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I teneva nell’Amazzonia brasiliana il sesto simposio del progetto “Religione, Scienza e Ambiente”. Per una settimana, in navigazione lungo le acque del Rio delle Amazzoni e del Rio Negro, duecento tra scienziati, ambientalisti, leader religiosi e giornalisti - anche dei media vaticani - si ritrovarono per parlare del futuro della regione a cui è dedicato il prossimo Sinodo dei vescovi

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Nel cuore della foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, lì dove si incontrano il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro, tredici anni fa il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I lanciava un grido d’allarme: si faceva sempre più urgente una cooperazione internazionale per preservare l’Amazzonia tutta, i suoi bacini fluviali e le sue ricchezze, il cui ruolo è sempre stato centrale nel mantenimento della stabilità climatica, dei cicli idrogeologici e della biodiversità. Era il 2006 e duecento tra scienziati, ambientalisti, leader religiosi e giornalisti, anche di Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano (oggi Vatican News e Vatican Media), si ritrovarono dal 13 al 20 luglio per il sesto simposio del progetto “Religione, Scienza e Ambiente”: una iniziativa ideata e promossa dallo stesso Patriarca e dedicata in quella edizione al tema “Il Rio delle Amazzoni, sorgente di vita”. Proprio l’Amazzonia “fonte di vita” caratterizza l'Instrumentum Laboris del Sinodo dei vescovi per la regione, dal 6 al 27 ottobre prossimi, perché - si legge - la vita in quelle terre “si identifica” con l’acqua.

I gruppi etnici

A dimostrarlo anche quella navigazione, che fu un viaggio e un convegno assieme, voluto dal Patriarca Bartolomeo nella zona tra Santarem e Manaus, per analizzare l’impatto regionale e globale delle attività umane sul bacino del Rio delle Amazzoni, dalla deforestazione alla coltivazione di soia, fino alle implicazioni per i circa 400 gruppi etnici presenti sul territorio e ad esso indissolubilmente legati.

Testimonianza comune

Benedetto XVI inviò ai lavori come suo rappresentante il cardinale Roger Etchegaray, recentemente scomparso, all’epoca presidente emerito dei Pontifici Consigli della Giustizia e della Pace e Cor Unum, che aveva affiancato San Giovanni Paolo II nell’ideazione della giornata di Assisi del 1986, cuore e spirito dell’incontro tra le religioni. Ad attendere i partecipanti a Manaus, pure il cardinale Geraldo Majella Agnelo, allora presidente della Conferenza episcopale brasiliana. Nel suo Messaggio al Patriarca, Papa Ratzinger evidenziò come l’impegno di cattolici e ortodossi per la salvaguardia del creato fosse un “esempio di quella collaborazione” che gli uni e gli altri “debbono ricercare con costanza per rispondere all’appello di una testimonianza comune”. All’udienza generale di quei giorni, Benedetto XVI rivolse il proprio pensiero ai partecipanti al simposio, auspicando che il convegno contribuisse a “promuovere un rispetto sempre più grande per la natura, affidata da Dio - ricordò - alle mani operose e responsabili dell’uomo”.

Le mani dell’uomo

Concetti emersi nell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e ribaditi recentemente da Bartolomeo, parlando della creazione come “dono di Dio a tutta l'umanità”. Eppure, ha notato Papa Bergoglio nel suo Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato del 1° settembre scorso, “si è messo in pericolo” l’ambiente che è “cosa buona agli occhi di Dio, divenuta cosa sfruttabile nelle mani dell’uomo”. In Amazzonia, le conseguenze oggi come allora sono alterazioni ambientali, perdita del territorio, malattie che stanno decimando le popolazioni autoctone, difese con gravi rischi da ambientalisti e missionari, molti dei quali sono stati uccisi per il loro impegno, come la religiosa statunitense Dorothy Stang: nel 2005 pagò con la vita la difesa dei contadini. Se ne parlò al simposio, con documentazioni e testimonianze, ma la scia di sangue non si è fermata in Brasile, come in Colombia, Guatemala, Messico, Perù. Non a caso nell’Instrumentum Laboris del Sinodo viene sottolineato come le comunità locali ritengano che la vita in Amazzonia sia minacciata - oltre che da interessi economici, interventi umani sconsiderati, criminalità, inquinamento, incendi - proprio dall’“assassinio di leader e difensori del territorio”. La Chiesa, si legge nel documento, “non può rimanere indifferente”, al contrario deve “sostenere la protezione dei difensori dei diritti umani e ricordare i suoi martiri”. Un impegno che, per tutti i cristiani, deriva proprio da quella testimonianza che Francesco definisce “ecumenismo del sangue”.

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26 settembre 2019, 09:48