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La scuola cattolica di San Giuseppe a Cheren, di recente nazionalizzata dal governo di Asmara La scuola cattolica di San Giuseppe a Cheren, di recente nazionalizzata dal governo di Asmara 

Eritrea: nazionalizzazioni in odio alla fede di scuole e ospedali cattolici

Protestano i vescovi nel Paese africano contro la nazionalizzazione delle scuole cattoliche, che segue quella delle strutture sanitarie: provvedimenti unilaterali del tutto arbitrari. In una Lettera denunciano una strategia persecutoria del governo di Asmara nei confronti della Chiesa.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Chiusure, requisizioni e infine statalizzazione di cliniche, ospedali, scuole e istituti di formazione. Un percorso di persecuzione contro le opere della Chiesa cattolica - denunciano i vescovi eritrei - iniziato dal governo di Asmara quasi due anni fa con l’ordine di chiusura della scuola secondaria Santissimo Sacramento del Seminario della capitale. Un’istituzione storica, che nel corso di oltre un secolo ha svolto una rilevante funzione culturale e spirituale, a servizio della Chiesa e del Paese. E’ seguita poi la requisizione di 8 strutture sanitarie e la nazionalizzazione di altre 21 cliniche ed infine il 3 settembre scorso la nazionalizzazione di tre importanti scuole elementari, medie e superiori, gestite dai Fratelli Lassalliani a Cheren e dai Frati Cappuccini ad Addi-Ugri e a Massawa.

La doverosa e legittima protesta dei cattolici

“Su tutti questi provvedimenti – scrivono i presuli in una Lettera inviata al ministro eritreo dell’Istruzione pubblica – formuliamo la nostra doverosa e legittima protesta”. Usano parole vibranti di condanna dell’operato del governo di Asmara i firmatari del documento: Menghisteab Tesfamariam, arcivescovo metropolita di Asmara, Thomas Osman, eparca di Barentu, Kidane Yebio, eparca di Cheren e Fikremariam Hagos, eparca di Segheneyti.

La missione della Chiesa dentro e fuori i sacri recinti

I quattro eparchi cattolici rivendicano la missione e il ruolo svolto della Chiesa per il bene del Paese, da sempre impegnata nella ‘promozione integrale’ della persona, attiva negli ambiti dell'istruzione, della sanità e dello sviluppo sociale generale, “non solo nell'interno dei suoi sacri recinti, bensì nei campi aperti delle scuole, delle cliniche e degli ospedali, dovunque cioè gli uomini e le donne - reclamano il diritto e il bisogno di essere curati e istruiti e la Chiesa si sente in grado di contribuire al loro benessere globale”.

Diritti non sono un capriccio da concedere o meno

“Come nei duemila anni del suo cammino attraverso la storia, anche oggi la Chiesa rivendica per sé un insieme di diritti” tra cui “possedere proprietà mobili e immobili congrue allo svolgimento della sua multiforme missione. Poiché si tratta di diritti naturali ad essa accordati da Dio stesso, permetterne o negarne l'esercizio – ammoniscono i presuli eritrei - non spetta, per nessun titolo, alla volontà o al capriccio di chicchessia”.

Il prezioso contributo delle scuole cattoliche

Riguardo alla nazionalizzazione delle scuole, i vescovi sottolineano che “nessun altro scopo” “si propone la Chiesa nella gestione delle sue istituzioni educative, se non l'onesto, corretto e appassionato contributo alla promozione integrale dell'uomo, oggi come ieri. Lo possono testimoniare – aggiungono - senza tema di smentita, quanti, uomini e donne di qualsiasi religione e corso di vita, sono passati per le nostre aule, vi hanno assaporato gli insegnamenti di vita, e oggi sono sparsi per il mondo intero”.

Le istituzioni religiose nella storia dell’Eritrea

Ricordano poi i presuli il ruolo storico svolto dalle istituzioni religiose non solo cattoliche ma anche ortodosse, islamiche e ebraiche che hanno contributo alla “formazione, costituzione e definizione identitaria e culturale”. “I sistemi amministrativi moderni, l'evoluzione della coscienza politica e della cultura letteraria, il progresso delle lingue, hanno trovato i loro migliori cultori negli eritrei usciti dalle scuole gestite dalla Chiesa cattolica e da altre denominazioni religiose”. Da non dimenticare che “i loro contributi nei processi politici e nella lotta per l'indipendenza – annotano i vescovi - occupano un posto eminente nella storia” dell’Eritrea.

Se non è odio contro la fede, cos’è?

Allora - si chiedono i presuli – come “inquadrare questo espropriare la Chiesa delle sue istituzioni educative, strumenti attraverso cui ha profondamente inciso nella crescita, nel progresso e nella civiltà di un intero popolo? Con quali fondamenti si è osato dichiararla, con i fatti piuttosto che con le parole, priva di ogni titolo e di ogni diritto di rivendicazione nei riguardi di tali istituzioni? Se questo non è odio contro la fede e contro la religione, cos'altro può essere? Togliendo i ragazzi e i giovani da strutture capaci di formarli ai supremi valori del timore di Dio e della legge morale, quali nuove generazioni si vuole preparare per il futuro di questo Paese?”

Il rifiuto delle autorità di giustificare le alienazioni

Premettono i presuli nella loro Lettera di avere sempre desiderato incontrarsi con le autorità governative “per dialogare su tutto quanto attiene alla situazione” della Chiesa, senza riscontro di risposta o “qualsiasi considerazione”. Lamentano quindi che le autorità di Asmara non hanno motivato “le recenti ingiustificabili alienazioni”: nessuna trasgressione delle norme amministrative scolastiche o infrazione delle regole o inadeguatezza pedagogica o didattica o colpa per commissione o per omissione. Al contrario – rivendicano i vescovi – “le nostre scuole si sono distinte per qualità e livello”, conseguendo “i migliori risultati negli esami nazionali” che “avrebbero dovuto meritare i più alti riconoscimenti e incoraggiamenti”. “Queste cose – affermano i presuli - lo Stato le sa, e, se del caso, se ne può sincerare riprendendo in mano i rapporti regolarmente inviati al ministero della Pubblica istruzione nel corso degli anni”.

Le ricadute sull’intero popolo eritreo

Non è problema che interessa la sola Chiesa, chiariscono i presuli eritrei. “Impedendo di fatto alla società civile e alla Chiesa di svolgere la loro missione a vantaggio degli uomini e delle donne di questo tempo e di questo Paese, si finisce per restringere o rimuovere lo spazio dell'esercizio della legittima libertà e del diritto fondamentale ed universale delle persone. Quando tutto viene monopolizzato dallo Stato, allora viene negata la liberta del singolo e se ne paralizzano le attività. E dove la libertà e il diritto sono negati, non c'è più spazio né per la pace, né per la libertà, né per il diritto”. Deve essere chiaro a tutti, raccomandano i vescovi, “che, quando tali istituzioni vengono statalizzate e i diritti della Chiesa conculcati, i conseguenti gravissimi danni ricadranno sulle spalle dell'intero popolo e dell'intera nazione”.

Non si fermerà la richiesta di giustizia

Da qui la ferma richiesta, in chiusura della Lettera, perché le recenti risoluzioni del governo “contrarie ai diritti e alla legittima libertà della Chiesa” siano rivedute e tempestivamente bloccate. Fintanto ciò non avverrà la Chiesa in Eritrea con i suoi fedeli “non cesserà di chiedere giustizia a chi detiene il potere di amministrarla”.

 

 

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11 settembre 2019, 13:45