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Un'immagine di dom Hélder Câmara Un'immagine di dom Hélder Câmara 

Vent'anni fa moriva Hélder Câmara, un protagonista della Chiesa in America Latina

Vedeva nel povero la stessa carne di Cristo: dom Hélder Câmara ha saputo coniugare Vangelo e lotta per la giustizia percorrendo sempre la strada della pacificazione. Ricorrono oggi 20 anni dalla morte a Recife. Il suo impegno e la sua eredità nella nostra intervista allo storico Massimo De Giuseppe

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Vent’anni fa moriva a Recife, in Brasile, il Servo di Dio, dom Hélder Câmara. Aveva 90 anni. Dopo esser diventato sacerdote nel 1931 e vescovo nel 1952, era stato prima nominato vescovo ausiliare di Rio De Janeiro, dove aveva conosciuto la realtà delle favelas, poi nel 1964 era diventato arcivescovo di Olinda e Recife, nel nord est del Paese. Piccolo di statura, all’apparenza fragile, ma gigante nel suo impegno a favore dei poveri, degli ultimi e per il rispetto dei diritti umani. “Ci sono miserie che gridano, di fronte alle quali non abbiamo il diritto di restare indifferenti”, sosteneva. Aveva scelto di vivere lui stesso in povertà nella periferia della metropoli di Recife, lasciando ai poveri il palazzo vescovile.

L'impegno di dom Hélder Câmara per la giustizia 

Di dom Hélder Câmara si è avviata, nell'arcidiocesi brasiliana, la Causa di beatificazione dopo il nulla osta della Congregazione vaticana delle Cause dei Santi nel febbraio 2015. Non ebbe vita facile l’arcivescovo in patria, osteggiato durante la dittatura militare (1964-1985) e accusato dai generali, di cui denunciava gli abusi come l’uso della tortura nei confronti degli oppositori politici, di essere un vescovo rosso, un vescovo comunista. ”Quando io do da mangiare a un povero” soleva ripetere “tutti mi dicono bravo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista e sovversivo”. Più volte fu minacciato di morte. Grande fu però la fiducia che in lui ebbe Papa Paolo Vi che gli diede sempre il suo sostegno. “Avevo nostalgia di incontrarvi”, disse a dom Câmara Papa Montini l’ultima volta che lo vide, il 15 giugno del 1978. Ma anche Giovanni Paolo II durante il suo viaggio in Brasile lo salutò riconoscendolo: “Fratello dei poveri e fratello mio”.

“Quando la tua nave, ancorata da molto tempo nel porto, ti dà l’impressione ingannevole di essere una casa, quando la tua nave comincia a mettere radici nelle acque stagnanti del molo, prendi il largo. È necessario salvare a qualunque prezzo l’animo viaggiante della tua barca e il tuo animo di pellegrino (dom Hélder)”

Il volto di Gesù nel volto del povero

Decisivo il contributo dell'arcivescovo alla nascita della Conferenza episcopale brasiliana, nel 1950, e del Celam, il Consiglio delle Conferenze episcopali latinoamericane nel 1955 di cui fu presidente. Segnato profondamente dal Concilio Vaticano II a quella visione della Chiesa fu costantemente fedele. Al centro della sua spiritualità l’identificazione tra Cristo e i poveri. Da qui l’azione senza tregua contro lo sfruttamento e la miseria capaci di distruggere “l’immagine di Dio che è in ogni uomo”. La sua era sete di giustizia, in nome dei milioni di uomini tenuti ai margini da un sistema economico basato sullo sfruttamento e per i quali desiderava un mondo più umano. Denunciava l’esistenza nel mondo di ‘strutture di peccato’ che andavano cancellate. Nel 1973 scriveva: “È chiaro che la cosa più ragionevole non sarà la distruzione del progresso, ma il cambiamento, anche nei paesi ricchi, di strutture anti-umane, in modo che il progresso tecnologico, che è una gloria umana, sia posto a servizio dell'uomo integrale e di tutti gli uomini". Per Massimo De Giuseppe, professore di Storia contemporanea all'Università Iulm di Milano, esperto in America Latina, dom Hélder Câmara è stato una delle figure centrali della Chiesa in quel continente:

Ascolta l'intervista a Massimo De Giuseppe

R. – Credo che il grande lavoro di dom Hélder Câmara si sia sviluppato fondamentalmente su tre livelli. Uno è un livello locale, soprattutto nella sua lunga stagione come vescovo di Olinda e Recife nel Nordest del Brasile, un territorio segnato da molti contrasti: una zona con forti ricchezze ma anche con enormi povertà e disagi in cui lui lavorò per una pastorale sociale incarnata, cercando sempre di seguire una linea della pacificazione, di uno sviluppo attraverso la pacificazione. Dom Hélder fu accusato di essere un vescovo rosso, fu minacciato e furono uccisi alcuni dei suoi collaboratori. Era una situazione, negli anni della dittatura militare, molto complessa, un periodo in cui in Brasile la dottrina della 'securidad nacional' aveva in qualche modo istituzionalizzato la violenza e la tortura; quindi riuscì ad esser un baluardo di pace in un contesto estremo. Il secondo livello credo che si sia sviluppato in modo molto importante all’interno delle reti dell’episcopato latinoamericano. Non bisogna dimenticare che dom Hélder è stato, in un periodo fondativo molto delicato, presidente del Celam, del Consiglio delle Conferenze dell’episcopato latinoamericano, e dom Hélder era stato con McGrath, con il cileno Larraín Errázuriz, con un altro grande vescovo brasiliano come Evaristo Arns, con l’argentino Pironio uno dei grandi costruttori del Celam come luogo di scambio, di esperienza, di sperimentazione. Spesso è stato molto banalizzato, soprattutto dopo il 68, Medellín e l’opzione per i poveri, con la Teologia della liberazione, ma in realtà era un enorme sforzo di leggere la complessità, la violenza, le contraddizioni della storia latinoamericana alla luce dei valori ecclesiali. Nel caso di dom Hélder, si era sempre basato sul rifiuto della violenza di matrice guerrigliera. E qui arriviamo al suo ultimo livello che è quello che poi lo rende famoso nella stagione del ’68, degli anni 70, della grande mobilitazione cattolica anche transnazionale che è quella della denuncia delle violenze. Un suo testo del ’68, “Terzo mondo defraudato”, nel titolo italiano, fu un libro di enorme successo. Nel ’70 un suo intervento al Palazzetto dello Sport di Parigi, pieno, per denunciare le violenze della dittatura, lo collocò tra i protagonisti cattolici di quella stagione.

Quali analogie tra monsignor Câmara e Papa Francesco? Perchè mi sembra che si può dire che ce ne siano…

R. – Sì, credo che ce ne siano molte. Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare che anche se viene dall’Argentina e dall’esperienza della Teologia popular di Scannone, quel mondo latinoamericano era un mondo in costante contatto e fermento. Quindi molti elementi che troviamo nel pontificato di Francesco hanno una matrice latinoamericana profonda, ovviamente riletta nel Magistero di una Chiesa universale, ma che rimanda a esperienze storiche molto precise. Spesso gli analisti politici tendono – io credo – a leggere un po’ troppo Papa Francesco come solo un argentino e si dimenticano che invece è anche figlio di una cultura latinoamericana molto articolata che nel Celam si esprimeva in modo molto forte. Soprattutto il suo lavoro al tempo di Aparecida, la quinta Conferenza del Celam nel 2007, evidenzia come Papa Francesco sia cresciuto dentro a tutti i fermenti del Magistero latinoamericano. Solo per citare un piccolissimo passaggio, la “Laudato si’”, l’attenzione – come vediamo oggi ahimé terribilmente attuale - rispetto al rapporto con la terra, la difesa e la cura della terra è qualcosa che è connaturata al discorso della mobilitazione ecclesiale fin dagli anni Sessanta. In questo senso, l’America Latina è un laboratorio, è una delle prime Chiese – quella latinoamericana – che in momenti molti difficili incomincia a occuparsi della tutela ambientale, della difesa dell’acqua, già tra gli anni Sessanta e Settanta …

Câmara definiva l’America Latina “il continente cristiano del Terzo Mondo”. Che evoluzione ha avuto il continente, in questi ultimi vent’anni dalla morte dell’arcivescovo di Recife?

R. – In questi anni, l’America Latina è cambiata molto perché innanzitutto ci sono degli enormi processi di trasformazione. A livello ecclesiale, oggi, le Chiese cristiane non cattoliche – soprattutto evangeliche e pentecostali – sono cresciute molto. E’ cresciuta una forte secolarizzazione, soprattutto nell’abbandono della pratica religiosa, che però resta ancora molto significativa in alcune aree rurali. E’ un subcontinente in grossa trasformazione perché è al centro di dinamiche importanti: non dobbiamo dimenticare che è una popolazione molto giovane. Quindi siamo in una realtà che è segnata da un lato, sì, da contraddizioni e da violenza, problemi molto gravi che ancora stanno investendo il territorio latinoamericano; ma dall’altra è un serbatoio incredibilmente dinamico e giovane di futuro.

Abbiamo detto che cosa ha rappresentato Hélder Câmara, non solo per i giovani, negli anni Settanta-Ottanta; ma che cosa ci dice oggi?

R. – Hélder Câmara per un lungo periodo era stato un po’ etichettato: mi ricordo che quando morì, su alcuni grandi giornali italiani uscì un minimo trafiletto di due righe, alcuni non ne parlarono nemmeno, in cui si diceva: “E’ morto il vescovo rosso”. Era il segno di una totale disattenzione nei confronti di una figura che in realtà era stata tutt’altro che un vescovo rosso. Oggi credo che molte delle questioni che lui toccava sulla tutela della persona, dei diritti umani, la sua grande sensibilità per la dimensione comunitaria, credo che molti dei temi che lui toccava siano di una attualità sorprendente. Lo dico non per farne un santino, ma proprio per recuperare il senso, il valore di questioni che sono poi al centro della storia della stessa Chiesa universale.

Il punto sulla Causa di beatificazione di Camara

Il Processo di beatificazione e canonizzazione di dom Hélder Câmara va avanti e la fase diocesana si è ormai conclusa. Lo conferma, al microfono di Mariangela Jaguraba della redazione brasiliana di Vatican News, il religioso padre Jociel Gomes, postulatore della Causa:

Ascolta l'intervista a padre Jociel Gomes

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27 agosto 2019, 16:01