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Cei: l’eutanasia non è un atto terapeutico

Il direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali, don Ivan Maffeis, richiama l’appello al Parlamento siglato dalle associazioni cattoliche sul fine vita

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

“Il bene indisponibile della vita rimane tale anche quando irrompono la malattia, la sofferenza e la paura: tali condizioni chiedono di non abbandonare la persona a una solitudine disperante, assicurandole ogni aiuto necessario per la cura e il sollievo”. È quanto scrive don Ivan Maffeis, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, rilanciando ieri l’appello rivolto al Parlamento da varie associazioni cattoliche in vista dell’imminente decisione della Corte Costituzionale italiana sul tema del fine vita. 

La morte procurata non è un gesto benefico

Ricordando il bene supremo della vita, don Maffeis sottolinea che è necessario “l’impegno per una cultura nella quale la morte procurata non possa vestirsi da atto terapeutico o da gesto benefico”. È anche necessaria, aggiunge il sottosegretario della Cei, “una cultura che sul crinale del dolore e della sofferenza offra ancora lo spessore di risposte autenticamente umane”.  In Italia sta per scadere, intanto, il tempo massimo dato dalla Corte costituzionale che, lo scorso mese di ottobre, ha richiamato il Parlamento chiedendo di colmare un “vuoto normativo costituzionalmente illegittimo”.

Si superi ogni logica di scarto

Nell’appello lanciato dalle 6 associazioni cattoliche, si chiede che, sul fine vita, il Parlamento, “consapevole delle proprie responsabilità istituzionali, eserciti pienamente e tempestivamente la propria funzione legislativa”. “Ciascuna vita umana individuale è un bene in sé stessa, al di là delle circostanze che di fatto segnano la sua parabola esistenziale”. “Rifiutiamo senza tentennamenti - si legge nel comunicato stampa congiunto - ogni logica di scarto tendente a considerare le persone insolubilmente segnate dalla malattia o da altre vulnerabilità (età avanzata, disabilità, patologie psichiatriche, etc…) come una sorta di peso infruttuoso per la comunità, tanto da ritenere opportuno ridurre (o addirittura annullare) risorse ed ausili a loro vantaggio, a prescindere dai loro effettivi bisogni”.

Serve una risposta umana

Oltre a ribadire “il più fermo rifiuto di ogni atto di eutanasia in tutte le sue forme e modalità” nel documento si sottolinea che “la malattia, il dolore e la sofferenza, nella loro cruda e gravosa realtà, esigono una risposta autenticamente umana”. Nel testo si chiede anche “una maggiore implementazione delle cure palliative” e si accoglie con favore “la recente presa di posizione pubblica da parte delle Federazioni degli Ordini dei medici e degli Infermieri, che considerano il proprio coinvolgimento in eventuali pratiche eutanasiche in piena ed inaccettabile contraddizione con le finalità e i valori originari dell’arte medica”. L’appello è stato firmato congiuntamente dall’Associazione Scienza & Vita, dal Forum delle Associazioni Familiari, dal Movimento per la vita, dall’Associazione Medici Cattolici Italiani, dal Forum Associazioni Socio-Sanitarie e dall’ Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici. Il documento si conclude con l’invito a partecipare il prossimo 11 settembre, a Roma, ad una giornata di riflessione e approfondimento sul tema del fine vita.

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11 luglio 2019, 11:04