Aloysius John nuovo segretario generale di  Caritas Internationalis Aloysius John nuovo segretario generale di Caritas Internationalis 

Aloysius John è il nuovo segretario generale di Caritas Internationalis

Ieri, al termine della 21.ma Assemblea generale di Caritas Internationalis, è stato eletto il nuovo segretario generale. Si tratta di Aloysius John, già impegnato nella Confederazione. A Vatican News il bilancio di Michel Roy che ha preceduto Aloysius John e la reazione di quest'ultimo all'elezione

Benedetta Capelli e Linda Bordoni - Città del Vaticano

La Caritas Internationalis ha un nuovo segretario. Dopo la riconferma come presidente del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ieri a Roma al termine della 21.ma Assemblea generale sul tema: “Una sola famiglia umana, una sola casa comune” è stato eletto il segretario generale che resterà in carica per i prossimi 4 anni.

Indiano di nazionalità francese

Si tratta di Aloysius John, già a capo dello sviluppo istituzionale e del capacity building della Confederazione. Ha 62 anni, è sposato ed ha tre figli. E’ nato in India ma è di nazionalità francese. Nella dichiarazione finale dell'Assemblea Generale tutti i membri della Caritas hanno riaffermato il loro impegno “per costruire un mondo dove Dio è riconosciuto come amore, giustizia e pace; dove la solidarietà è abbracciata da tutti”, per far sì che non ci siano “più emarginati, sfruttati o abusati”; dove tutti gli uomini vivano con dignità e dove tutto il creato sia custodito nella nostra casa comune. Ai microfoni di Vatican News, Aloysius John confida i suoi sentimenti riguardo all'elezione a segretario generale della Caritas: 

R. – Raccolgo questa nuova responsabilità in spirito di servizio e umiltà, perché qui stiamo parlando del servizio della Chiesa e della missione che la Chiesa mi sta affidando per aiutare i poveri, i bisognosi affinché diventino autonomi, perché anche loro hanno il loro posto nella società. E’ con questo spirito che accetto questo nuovo incarico e con la convinzione, allo stesso tempo, che i poveri abbiano diritto ad aspettarsi il meglio. E noi dovremmo dare loro il meglio. Quindi, dobbiamo lavorare con efficienza affinché i poveri possano avere il meglio nella società.

Papa Francesco le ha detto che il Vangelo deve essere il suo programma: come pensa di metterlo in pratica?

R. – Il Vangelo deve essere il mio programma. Il Vangelo è un programma, è vero. Se penso alla parabola del Buon Samaritano, questa mi ispira: la compassione mostrata dal Signore, la sua attenzione, l’attenzione che ha riservato al ferito … è stato capace di abbassarsi al suo livello per portarlo in braccio fino alla locanda perché avesse le cure migliori possibili. Credo che sia questa la parabola che mi deve guidare, che ci deve guidare, e in realtà già ci sta guidando. Dobbiamo avere compassione per i poveri; dobbiamo essere capaci di amarli e curarli e difenderli perché dobbiamo difendere i loro diritti. E questo è quello che stiamo cercando di fare e questo è quello che ci guida. E questo è il nostro programma.
 

Il bilancio di Michel Roy

Dopo due mandati, lascia l’incarico come segretario Michel Roy che al microfono di Vatican News traccia un bilancio della sua esperienza ribadendo che la Caritas, essendo parte della Chiesa, è chiamata a stare insieme e al fianco dei poveri: 

R. – Le priorità sono state quelle di mostrare che la Chiesa sia una Chiesa viva, che cammini con i poveri, che diventi una Chiesa dei poveri, secondo l’augurio di Papa Francesco. Possiamo dire quindi che abbiamo compiuto dei passi in avanti in questa direzione. L’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, pietra angolare del pontificato di Papa Francesco, ha indicato la strada da seguire. L’Enciclica Laudato si’ si spinge ancora più in là per dirci che il nostro modello di sviluppo, prevalente oggi, non è un buon modello, ma al contrario conduce l’umanità verso la rovina, e di questo noi ci accorgiamo concretamente. Di conseguenza la Chiesa – la Caritas all’interno Chiesa – ha un ruolo particolare da svolgere, che è quello di dare speranza, e proporre una visione di quello che potrebbe essere il mondo di domani, che sia costruito non a partire dalla finanza o dall’economia, ma dalle persone, e intorno a coloro che soffrono proprio per questa deregolamentazione economica e climatica. Quindi ripartire dai poveri. E Papa Francesco ci ha invitato anche a lavorare con le altre Chiese, con le altre confessioni religiose, al fine di dare una testimonianza al mondo del fatto che la soluzione non risiede nel materiale. In una società materialista e consumista, abbiamo bisogno di riscoprire un’altra dimensione della vita, che è la dimensione spirituale, e le organizzazioni confessionali – credo che anche noi stiamo dando il nostro contributo – si fanno portatrici proprio di questa dimensione, e hanno la capacità di dare nuova ispirazione al mondo.

Qualche anno fa il Papa, durante un naufragio nel mar Mediterraneo, aveva denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza”. Pensa che anche da questo punto di vista ci sia stato qualche progresso? 

R. – Penso che quando accadono gravi catastrofi naturali, come i terremoti, i cicloni, ecc., la comunità internazionale dà una sua risposta, ma si tratta sempre di una risposta che resta in superficie: non si affronta il problema all’origine. Vedo anche – ho visto e continuo a vedere – che c’è bisogno delle guerre: l’industria degli armamenti ha bisogno di sbocchi. E laddove si riuscisse a realizzare la pace, tutta questa parte importante dell’economia, che si sviluppa in alcuni grandi Paesi del pianeta, svanirebbe. Quando i media parlano dei Rohingya, della Siria ecc., la comunità internazionale interviene e i telespettatori fanno donazioni, ma quando poi il conflitto è dimenticato ma continua, nessuno se ne occupa più. Chi pensa ad aiutare la Repubblica centrafricana a ritrovare la pace oggi? Si tratta di un aiuto molto limitato. Quindi c’è sempre uno sforzo da fare. Quando si vive in un mondo molto secolarizzato in cui si è tentati solamente da sé stessi, l’evoluzione importante della tecnologia, dei social network, non favoriscono le relazioni interpersonali, né l’attenzione che uno dovrebbe sempre offrire ai propri vicini, vicini o lontani. Per fortuna ci sono tante iniziative di solidarietà che si portano avanti, ma c’è qualcosa da fare a livello di mentalità, di educazione, al fine di rendere le persone più sensibili e consapevoli di che succede lontano da noi: quante persone nella strada non attirano più l’attenzione di qualcuno? Credo che quindi questo sia il ruolo che noi dobbiamo svolgere: attirare l’attenzione, invitare all’impegno.

Le sfide del suo successore…

R. – Ci sono delle sfide anche a livello interno, che sono quelle di mobilitare tutti i membri della confederazione per far sì che questa resti, e che sia ancora di più di quanto non lo sia oggi, una famiglia veramente unita. Ogni membro può avere le sue strategie, le quali non si incontrano per forza con quelle del collettivo che è la confederazione. Quindi abbiamo di fronte a noi degli sforzi da affrontare al fine di lavorare meglio insieme. Questa è una sfida per il mio successore. 

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29 maggio 2019, 11:42