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La richiesta di pace delle comunità indigene colombiane La richiesta di pace delle comunità indigene colombiane 

Colombia, in stallo dialogo con Eln: vescovi esortano a riprendere negoziato

Intervista col presidente della Conferenza episcopale colombiana, mons. Urbina Ortega, e col segretario generale, mons. Álvarez Botero. Non c’è alternativa alla pace, dicono, in un Paese che ha già vissuto oltre cinquant’anni di conflitti

Giada Aquilino - Città del Vaticano

L’esigenza maggiormente sentita dai colombiani in questo momento è quella di “lavorare di più per la riconciliazione”. Così mons. Oscar Urbina Ortega, presidente della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), commenta l’attuale momento di stallo nei colloqui tra governo e guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), iniziati nel febbraio 2017 a Quito, trasferiti a maggio 2018 all’Avana, ma ancora senza risultati tangibili. Ad aggravare l’impasse, l’attentato firmato dall’Eln - il principale movimento guerrigliero ancora attivo in un Paese tormentato da più di cinquant’anni di conflitti - contro la scuola per cadetti della polizia di Bogotá, il 17 gennaio, con un bilancio di 22 morti e 66 feriti (Ascolta l'intervista a mons. Urbina Ortega).

Mons. Urbina Ortega: siamo al punto zero

“Questo attentato ha fatto perdere la fiducia nel proseguimento dei dialoghi”, dato che la fine delle violenze “è una condizione” per tornare al tavolo dei negoziati, spiega il presidente dei vescovi colombiani: al momento, aggiunge, “siamo al punto zero”, “i dialoghi non ci sono”. Se i guerriglieri non dimostreranno di essere disposti “a lasciare il sistema di rapimenti, di reclutamenti di bambini per impiegarli nelle azioni armate, di attentati contro le infrastrutture petrolifere del Paese, il governo - prosegue - non farà alcun passo”. Lo scorso anno si sono verificati 107 attentati alle infrastrutture petrolifere colombiane; e nel 2017 oltre 60 azioni contro l’oleodotto Caño Limón-Coveñas, che trasporta il grezzo dai campi petroliferi di Arauca fino al Mar dei Caraibi, erano state attribuite alla guerriglia.

Mons. Álvarez Botero: duro colpo per il Paese

In questo periodo “la popolazione in Colombia sente forte la minaccia degli attentati”, sottolinea anche mons. Elkin Fernando Álvarez Botero, segretario generale della Conferenza episcopale colombiana: “l’attentato di gennaio - aggiunge - è stato un colpo molto duro per il Paese”. Il sindaco di Medellín, Federico Gutiérrez, ha lanciato l’allarme per nuovi possibili attacchi dell’Eln. “Penso che si stiano prendendo tutte le misure di sicurezza necessarie, però - ammette mons. Álvarez, che è vescovo ausiliare di Medellín - la minaccia in città si sente”, per la presenza della guerriglia che opera attraverso le “cellule urbane” (Ascolta l'intervista a mons. Álvarez Botero).

I vescovi: disposti ad accompagnare dialogo

Al termine della loro assemblea plenaria, lo scorso febbraio, i vescovi colombiani hanno esortato a perseverare sulla via della riconciliazione, prendendo a prestito le parole pronunciate da Papa Francesco nel corso della sua visita in Colombia, nel settembre 2017. Mons. Urbina Ortega ricorda che la Chiesa locale ha lanciato un appello alla riconciliazione alle parti, a cui ha fatto eco in questi giorni l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, la cilena Michelle Bachelet, che ha chiesto a governo di Bogotá e guerriglia di “concordare un cessate il fuoco bilaterale” al fine di riprendere i colloqui di pace. “La pace - ricorda il presidente dell’episcopato colombiano - è un dono di Dio ed è una responsabilità affidata a noi come persone. Cerchiamo di accompagnare specialmente il popolo, perché sono loro, i poveri, che soffrono le conseguenze di questa guerra che ancora non finisce”. Quindi una rassicurazione, frutto anche dell’esperienza dell’accordo di pace con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, raggiunto nel 2016, dopo decenni di violenze che hanno provocato almeno 260.000 morti, più di 60 mila dispersi e oltre 7 milioni di sfollati e profughi: come vescovi “siamo disposti ad aiutare - se ci saranno - questi dialoghi, come abbiamo fatto in passato; non come negoziatori, perché è una questione politica che spetta al governo e alla guerriglia, ma come persone che animano, accompagnano, incoraggiano a dialogare”.

Narcotraffico e crisi in Venezuela

“La gente - riferisce mons. Urbina Ortega - vuole la pace, ma bisogna fare ancora tanto”: in questo momento, prosegue, sulle sorti del Paese pesano anche “altri elementi”, come il narcotraffico, l'uccisione di leader sociali e difensori dei diritti umani, la crisi in Venezuela, “con tante persone che arrivano da noi, che abbiamo accolto e dobbiamo accogliere in tutte le nostre diocesi, in un lavoro silenzioso che compiamo anche con l’aiuto della Chiesa europea attraverso le Caritas”.

In famiglia e nei luoghi di lavoro

“Nel cammino della riconciliazione, come ricordato anche dal Pontefice, abbiamo incontrato tanti ostacoli”, ricorda mons. Álvarez Botero: “non vogliamo però che questi problemi si traducano in disperazione o motivo ulteriore di blocco del dialogo”. “È necessario perseverare nel cammino della pace anche con azioni di pace, specialmente negli ambienti quotidiani, nella famiglia, nel lavoro”. Una spinta pure a proseguire la missione della Chiesa, nonostante negli ultimi giorni nel dipartimento di Antioquia uno dei sacerdoti della zona, padre Raúl Mejía Valencia, parroco ad Armenia Mantequilla, abbia ricevuto minacce di morte: per questo il vescovo locale ha disposto il suo allontanamento per motivi di sicurezza. “C’è preoccupazione, il vescovo César Balbín Tamayo, ha preso questa decisione perché c’erano forti indizi per minacce di morte nei confronti del sacerdote. Non è sicuro da dove partano tali minacce, ma è probabile che si tratti di gruppi legati al narcotraffico”.

Una pace piena

In questo quadro, il segretario generale della Cec ricorda che “quello dei preti, specialmente nei luoghi dove c’è più violenza, è un lavoro di pace, di riconciliazione e di appello alla società a percorrere la via dei valori e della difesa della vita”. Mons. Álvarez Botero non dimentica poi quello che sta accadendo nel nord della Colombia, in particolare nel dipartimento di Chocó, dove per il persistere di scontri fra forze dell’Esercito di liberazione nazionale e bande di narcotrafficanti alcune comunità indigene si trovano segregate in zone ristrette, con l’impossibilità di avere accesso a cibo e medicine. Ecco perché, conclude poi il presidente dei vescovi, mons. Urbina Ortega, “continuiamo a lavorare senza perdere la speranza e il coraggio, perché sappiamo che non c’è un altro cammino verso la pace piena diverso dal dialogo, dalla riconciliazione e dallo sviluppo integrale delle persone nei diversi luoghi della nostra nazione”.

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21 marzo 2019, 18:56