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Talitha Kum: un corso a Roma per accompagnare le vittime della tratta

Sulla tratta di esseri umani, si è aperto nei giorni scorsi a Roma un corso promosso dalla rete internazionale “Thalitha Kum”. Intervista a suor Gabriella Bottani che ieri ha incontrato il Papa all'udienza generale

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Un “flagello atroce”, una “piaga aberrante” e una ferita “nel corpo dell’umanità contemporanea”. Con queste espressioni, Papa Francesco si è più volte riferito ad un drammatico fenomeno che, nel mondo, affligge oltre 40 milioni di persone. È la tratta di esseri umani. Un turpe commercio, gestito da organizzazioni criminali, che recluta un esercito non di lavoratori, ma di schiavi. Sono uomini, donne e bambini rinchiusi in vite dolorose con molteplici catene. Tra queste, il lavoro forzato, la prostituzione e il reclutamento di bambini soldato.

Il business dello sfruttamento

La schiavitù non è una drammatica pagina solo del passato. È una tragedia con radici profonde che, attraverso nuove forme di sfruttamento, toglie libertà e dignità a persone vulnerabili, spesso costrette ad emigrare per cercare, in altri Paesi, migliori condizioni di vita. La tratta è anche un’industria brutale, diffusa in molti Paesi del pianeta, che secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro genera, ogni anno, profitti per oltre 150 miliardi di dollari.

Giuseppina Bakhita, la schiava divenuta Santa

Nel 2015 Papa Francesco ha istituito la Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani che ricade l’8 febbraio, nel giorno della memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita. La sua storia è un inno contro la schiavitù. Nata nel 1869 in Sudan, è stata rapita e venduta come schiava quando era bambina. Dopo aver conosciuto la fede cristiana, ha deciso di farsi suora. È stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000.

“La tratta di esseri umani è una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo. E’ un delitto contro l’umanità (Papa Francesco)”

Talitha Kum

Tra le realtà che sostengono le vittime dello sfruttamento, c’è "Talitha Kum”, rete internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone. Talitha Kum è un’espressione presente nel Vangelo di Marco che significa: “fanciulla, io ti dico, alzati”. Sono parole rivolte da Gesù alla figlia di Giairo, una dodicenne che giaceva apparentemente senza vita. Dopo aver pronunciato queste parole, Gesù la prese per mano e lei immediatamente si alzò e si mise a camminare. La rete mondiale ha scelto questa espressione “Talitha Kum” per definire la propria identità che individua nella compassione e nella misericordia le strade per accompagnare quanti sono feriti da varie forme di sfruttamento.

Accompagnare le vittime

In questi giorni è in programma a Roma il corso di formazione, volto a "sostenere e accompagnare le vittime" e promosso da "Talitha Kum”. Su questa iniziativa si sofferma suor Gabriella Bottani, coordinatrice internazionale della rete contro la tratta che ieri tra l'altro ha incontrato il Papa all'udienza generale. L'obiettivo è di preparare operatori specializzati nel relazionarsi con le vittime, che sono nel cuore della Chiesa e vivono soprattutto nelle periferie del mondo. (Ascolta l’intervista con suor Gabriella Bottani)

R. – È un corso che nasce dall’esperienza di “Talitha Kum” che negli anni ha realizzato 34 corsi raggiungendo un migliaio di suore per un impegno contro la tratta. In questi anni di esperienza ci siamo rese conto che dovevamo andare a un altro livello. Questo livello è quello di coordinare le azioni, di avere delle capacità anche di organizzare la rete sul territorio per un maggiore impatto, per un’azione più effettiva, insieme, contro la tratta. E da qui nasce questo corso che si rivolge in modo particolare a sorelle – abbiamo anche un religioso e un padre diocesano – che hanno un ruolo da leader nella rete.

Qual è il valore aggiunto delle religiose e dei religiosi per arginare questo dramma della tratta?

R. – Molte di noi sono impegnate in prima linea nelle case di accoglienza alle vittime della tratta. Diverse di noi sono impegnate anche nei processi di reinserimento: non è solo il primo momento dell’accoglienza, ma è tutto un percorso poi verso la libertà effettiva e reale che viene fatto. Un percorso che include l’inserimento lavorativo, la formazione, quando è possibile. Lavoriamo molto, non solo nell’emergenza dell’accogliere e accompagnare le vittime, ma lavoriamo nella prevenzione con la finalità anche di ridurre le cause della tratta.

Quali sono le attività più efficaci per prevenire la tratta?

R. – Sono programmi educativi, il coinvolgimento e la partecipazione in attività di sensibilizzazione insieme ai principali gruppi di rischio, tentando di fare dei processi, dei cammini che portino a un cambiamento della mentalità. Penso alle realtà dei migranti, penso ai quartieri e alle zone rurali dell’India dove sono reclutate le bambine per lo sfruttamento lavorativo e sessuale, poi, nelle grandi città; penso alle tante suore religiose che hanno delle scuole, proprio lavorando con bambini in situazioni di rischio. Questi sono i luoghi privilegiati nei quali noi possiamo agire e impegnarci per un processo duraturo, con programmi educativi per tentare di cambiare la mentalità.

In questo processo, un aspetto cruciale è quello della relazione …

R. – Ci sono due punti che, secondo me, sono fondamentali. Il primo è il costruire relazioni di fiducia, relazioni dove ci prendiamo cura dell’altro. E poi relazioni di gratuità. La fiducia perché è stata rotta completamente da chi le ha ingannate, da chi le ha illuse e da chi ha usato i loro sogni per poterle sfruttare, per poterle ridurre in situazioni di schiavitù. La questione del prendersi cura è l’opposto dello sfruttamento. E il terzo punto è la gratuità. Perché? Perché loro sono state rese merce di scambio, per cui la gratuità è uno spazio fondamentale per recuperare la dignità.

Queste persone, poi, liberate dalle catene delle nuove forme di schiavitù, possono a loro volta essere validi collaboratori, proprio al vostro fianco, per arginare la tratta?

R. – In diversi casi sono diverse le persone che hanno fatto dei percorsi e si sono impegnate a loro volta per accompagnare altre ragazze che stanno facendo lo stesso cammino di libertà. Credo che la cosa più bella sia quando noi vediamo queste ragazze che riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro, a fare una loro scelta di vita: si sposano, hanno dei figli, riescono a realizzare veramente il loro sogno.

Dunque un dramma, quello della tratta, che lascia segni indelebili ma non cancella il futuro …

R. – C’è la speranza! E questo c’è anche per quelle ragazze, per quei ragazzi che a seguito della tratta portano ferite profonde anche nel disagio mentale: anche per loro c’è speranza. Anche loro continuano a essere persone che hanno diritto e uno spazio privilegiato nel cuore di Dio e anche nel cuore di tante nostre comunità.

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31 gennaio 2019, 13:55