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Casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII a Gerusalemme Casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII a Gerusalemme 

Comunità Papa Giovanni XXIII: 50 anni con gli ultimi

Festa oggi a Rimini nel cinquantesimo anniversario della Comunità fondata nel 1968 da don Oreste Benzi. Presente alla cerimonia il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella il quale ha esortato a combattere senza tregua la tratta degli esseri umani. Intervista con Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell’associazione internazionale

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Mezzo secolo di vita per la Comunità Giovanni XXIII. Tutto nasce da una vacanza speciale per ragazzi disabili ‘spastici’, organizzata sulle vette delle Dolomiti da don Oreste Benzi, sacerdote riminese, promotore già da qualche anno di campeggi estivi per i giovani bisognosi della diocesi. Da questa esperienza di accoglienza e condivisione -  quando la disabilità era ancora ritenuta un tabù, una vergogna, una cosa che fa paura - matura la decisione di fondare una comunità dedicata agli ultimi. Don Benzi è convinto che “proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie”. Era il settembre del 1968 e sulla Chiesa soffiava il vento innovatore del Concilio Vaticano II.

Il Presidente Mattarella chiede di abbattere le barriere che discriminano

Al Palacongressi di Rimini, dove si è svolta la celebrazione dei 50 anni della Comunità Papa Giovanni XXIII è intervenuto il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella il quale ha esortato ad “abbattere le barriere che discriminano. Vi sono barriere – ha detto - che sono reali, altre che sono di convinzione, di mentalità. Sono barriere che creano esclusione e pregiudizi”. “Occorre coraggio, ma andare incontro agli altri per realizzarsi insieme è la nostra realtà, la nostra più profonda vocazione”, ha evidenziato il Capo dello Stato. Mattarella si è ancora soffermato sulle “diversità che rendono la nostra vita più aperta, completa, più vivace e anche più forte”. Quindi, l’incoraggiamento a “superare le barriere che creano cattiva abitudine”. Parlando della tratta di esseri umani, il Presidente della Repubblica ha indicato “un impegno molto forte per quanto ci riguarda, un impegno inderogabile” per “combattere senza tregua la tratta degli esseri umani e la riduzione in schiavitù”. “Questa piaga non è debellata – ha aggiunto -. Lo vediamo nelle nostre strade. Nessuno può mettere a tacere la propria coscienza di fronte al persistere di questo mercato infame. Meno che mai può farlo lo Stato. E non può esserci incertezza o confusione”. Il Capo dello Stato ha ribadito che “non sono le vittime della tratta a dover essere perseguite ma gli sfruttatori”. “L’azione di contrasto va svolta nel nostro Paese, al suo interno, ma anche sul piano internazionale. E quest’opera va integrata con politiche di cooperazione e progetti di pace e di sviluppo”.

500 centri di accoglienza in tutto il mondo

Oggi la Comunità Giovanni XXIII conta 500 realtà di accoglienza, in oltre 40 Paesi, nei cinque continenti ed offre ospitalità in 201 case famiglia in Italia e 50 all’estero. Oltre 40 mila le persone accolte ogni giorno nelle sue strutture. Una ricchezza inestimabile per la Chiesa e per la società. Da 50 anni è accanto ai poveri e agli emarginati, per dare un tetto a chi non ce l’ha, ridare dignità a donne schiavizzate sulla strada, recuperare tossicodipendenti, difendere la vita nel grembo delle mamme, in lotta contro le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani, impegnata in progetti di emergenza umanitaria e di cooperazione allo sviluppo, presente nelle zone di guerra con un proprio corpo non violento.

Mezzo secolo di storia nel film “Solo cose belle”

Una storia ricca e intensa che continua ancora, raccontata nel film “Solo cose belle”, presentato oggi a Rimini al presidente Sergio Mattarella, in visita alla Comunità Giovanni XXIII, per l’occasione gremita di settemila mila persone, tra ospiti, giovani studenti e appartenenti alle varie comunità in Italia e all’estero.

A guidare la Comunità dopo la morte di don Oreste Benzi nel 2007 è Giovanni Paolo Ramonda, entrato da ragazzo nella comunità, sposato con tre figli naturali e nove accolti nella casa famiglia dove vivono a Sant’Albano Stura, in Piemonte.

Ascolta l'intervista a Giovanni Paolo Ramonda

Lei laico, è il primo successore del fondatore don Oreste Benzi, incontrato sulla sua strada a soli 19 anni, quale eredità porta dentro di questa straordinaria figura di sacerdote

R. – Che ognuno di noi si può spendere con gioia, con responsabilità, con gratitudine nello stato di vita in cui è e in cui il Buon Dio l’ha chiamato. Don Oreste è stato un innamorato di Dio nel suo sacerdozio; chi è sposato, lo deve essere nell’amore al suo sposo, alla sua sposa, ai suoi figli. Ecco, questo ho ricevuto. Cioè, ognuno di noi ha dei talenti, chi più chi meno, ma questi talenti sono preziosissimi perché il Buon Dio ce li ha dati perché vengano fatti fruttare in questo contesto storico. Quindi, ovviamente, io mi sento inadeguato, come un somarello che è arrivato dopo un cavallo di razza. Però, ritengo che tutti possiamo dare il nostro contributo. E, soprattutto, don Oreste ci ha lasciato la comunità, un camminare insieme di un popolo e quindi chi ha il servizio di responsabilità non è solo ma ha una comunità che cammina insieme, cammina nella Chiesa e cammina nella società …

Un anniversario, quello di oggi, carico di promesse di impegno anche per il futuro. Dal vostro osservatorio, quali sono le emergenze, i bisogni più grandi nella società odierna?

R. – Certamente, quello di un’integrazione tra i vari popoli, come mostra con evidenza il fenomeno dell’immigrazione, che è un problema emergente che coinvolge tutto il mondo e deve portare ad una scelta di integrazione possibile. Proprio qualche settimana fa, noi abbiamo accolto 51 profughi dal Niger – mamme con bambini – che cerchiamo di integrare dando lavoro al capo-famiglia, dando scuole ai bambini, inserendo di piccoli gruppi nei nostri paesi: perché bisogna garantire e dimostrare che l’integrazione è possibile. Il popolo italiano, che è sempre stato così accogliente, recepisce questo anche a livello culturale.

Poi c’è il problema dell’ambiente, delle risorse che non sono illimitate; secondo noi, esiste una strategia molto preziosa: quella della condivisione dei beni e delle risorse. Se questi vengono condivisi escludendo i privilegi, ce n’è per tutti, cioè tutti possono avere il necessario. Noi abbiamo comunità in Africa, in Asia, in America Latina…: dobbiamo condividere i beni, perché ognuno abbia garantiti i diritti fondamentali, che sono quelli di avere una famiglia, una casa, un lavoro, l’educazione scolastica, l’assistenza sanitaria … Questa è un’altra emergenza che ha anche una valenza economica. Noi crediamo molto nell’economia di condivisione.

Importante è la presenza a Rimini del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché sicuramente una struttura, una comunità come la vostra è bene che abbia anche il sostegno delle istituzioni …

R.- E’ un ribadire che dobbiamo lavorare insieme, fare rete – il pubblico e il privato sociale – per il bene della popolazione, soprattutto della povera gente. Quindi è un ribadire un sostegno alla vita, un sostegno alla famiglia, un sostegno all’inclusione e anche al dare lavoro a tutti, anche ai portatori di handicap; un sostegno ad una legislazione che liberi le ragazze schiavizzate dalla strada, che liberi i giovani dalle varie dipendenze, soprattutto dando lavoro, dando educazione, dando una formazione anche culturale-artistica. In questi giorni proietteremo il film che ha il titolo “Solo cose belle”, espressione di un camminare insieme che ci fa dire un ‘grazie’ grande al presidente Mattarella che viene a visitarci.

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06 dicembre 2018, 15:50