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Siria. Mons. Jeanbart: aiutare i cristiani rimasti ad Aleppo

L’arcivescovo greco-cattolico di Aleppo riferisce dei programmi di aiuto per le famiglie cristiane rimaste ad Aleppo. “Facciamo tutto quello che è possibile perché la gente possa rimanere nelle loro case”. Il presule scommette sulla pacifica convivenza con le altre comunità religiose

Marco Guerra – Città del Vaticano

Dopo anni di assedio di guerra civile, Ad Aleppo la comunità cristiana dall’inizio del 2018 sta portando avanti tante opere di ricostruzione che portano fiducia e speranza e aiutano anche la riconciliazione. Intorno alla ricostruzione della cattedrale greco melchita, colpita negli anni passati dai bombardamenti,  è ripresa la vita ed è stato fatto sorgere anche un centro di approvvigionamento alimentare che serve ogni giorno più di 120 famiglie e un centro medico che offre servizi di 11 diverse specializzazioni, mentre 186 famiglie ricevono aiuti dalla diocesi per  crescere i loro neonati.

Malgrado i progressi, tanto lavoro resta ancora da fare per ritornare all’armonia del mosaico interetnico siriano. Ora gli sforzi della Chiesa locale sono tesi a fermare l’esodo che ha caratterizzato gli anni più violenti della guerra, come conferma a Vatican News, l’arcivescovo greco-cattolico di Aleppo, mons. Jean-Clement Jeanbart:

R. – A un certo punto ho pensato che era importantissimo restaurare e ricostruire le chiese e le strutture ecclesiali per dare fiducia e speranza ai fedeli: che noi rimaniamo, continuiamo e faremo tanto quanto prima, anche di più. Allora abbiamo incominciato con la cattedrale, che era molto danneggiata e stiamo lavorando sodo per arrivare a finire i lavori per la festa della Madonna della Signora della Dormizione, che è la Patrona della chiesa. Allo stesso tempo stiamo restaurando, ricostruendo la casa della diocesi, l’arcivescovado e speriamo di finire i lavori per l’inizio dell’anno 2019. Facciamo questo con tanto entusiasmo e la gente è contenta di vedere che ci rimettiamo in piedi, per andare avanti nella vita della Chiesa, della diocesi ma anche nella vita della testimonianza presso quelli che sono intorno a noi.

Anche l’attività pastorale, l’attività della diocesi è ripresa …

R. – Noi, nella diocesi, abbiamo 12 chiese e anche centri pastorali eccetera … Sei di queste dodici funzionano. Ci sono tantissimi giovani che vengono e facciamo sforzi per essere vicini ai giovani in tutti i modi. Giovani, bambini ma anche ai giovani adulti, agli sposi novelli per aiutarli ad andare avanti. Ho detto e chiesto ai miei sacerdoti, ai miei collaboratori, ai responsabili dei movimenti di fare grandi sforzi per dare il più grande interesse alla formazione e all’aiuto ai giovani. Abbiamo quattro scuole che non abbiamo mai chiuso, in tutti questi anni di guerra; abbiamo degli istituti di formazione professionale, e nemmeno quelli abbiamo chiuso, nonostante tutte le difficoltà. Facciamo il meglio e il più possibile con quelli che rimangono e quelli che il Signore ci ha lasciato, per dare loro tutto quello che abbiamo.

Perché è importante anche fermare questo esodo dei cristiani dalla Siria: i cristiani sono importanti per il tessuto sociale siriano …

R. – Esatto. Sia per il tessuto nazionale e anche per la Chiesa: la Chiesa missionaria ma anche la Chiesa universale. La Chiesa in Oriente che è stata l’origine del cristianesimo in Occidente. Per questo, il gran problema dell’emigrazione è l’esodo. Io ho deciso, davanti a questo fenomeno, di consacrare quello che mi rimane come forze, come anni di lavoro, per aiutare quelli che sono rimasti a rimanere, e quelli che sono fuori, se vogliono, a tornare. Prima di tutto, abbiamo istituito un movimento che si chiama “Partir pour rester”, “partire per rimanere”. Facciamo tutto quello che è possibile per restaurare le case, per offrire quello che è necessario perché la gente possa rimanere nelle loro case. Abbiamo anche un programma di aiuti finanziari, di prestiti tesi a sostenere il lavoro; abbiamo fatto in modo anche di aiutare i giovani sposi ad avere figli: abbiamo organizzato un programma di aiuti a tutti quelli che nascono, da quando sono nel grembo materno fino a quattro anni di vita. Grazie a Dio, abbiamo avuto fino adesso quasi 200 bambini, da due anni a questa parte. Mentre prima avevano paura ad avere bambini in questa situazione di guerra, senza redditi, senza lavoro, era una cosa molto preoccupante … Stiamo per portare a termine un progetto di 66 appartamenti, che saranno pronti tra tre mesi e abbiamo anche progetti di restauro di un centinaio di case in una zona che è stata abbandonata perché era pericolosa. In particolar modo, dobbiamo ringraziare la Polonia che ci aiuta molto – la Caritas Polonia – ma anche altre organizzazioni, come “Opera d’Oriente” (Œuvre d'Orient), “Aiuto alla Chiesa che soffre”; c’è l’Ungheria, e poi c’è il Vaticano che incoraggia alcune organizzazioni ad aiutarci. Ma ci sono anche organizzazioni che pensano di far bene aiutando i nostri ad andare via, a emigrare: questi sbagliano. Anche se hanno buone intenzioni, ma sbagliano e ci fanno molto male.

E’ possibile ripartire per una riconciliazione tra tutte le etnie, tutte le componenti religiose della Siria?

R. – Sì, sì, si può, perché abbiamo raggiunto un livello molto buono, eccellente in questo campo, prima della guerra. Quelli che si sono fatti la guerra hanno voluto strumentalizzare il fanatismo e la distensione tra le comunità, perché si combattano. Se questi che finanziano questi gruppi di terroristi fondamentalisti se ne andassero, ci lasciassero tranquilli, i siriano tra loro saprebbero come vivere insieme: anche adesso viviamo con i musulmani attorno a noi … La Chiesa, con il suo spirito di apertura ma allo stesso tempo di rispetto e di tolleranza per gli altri ha fatto molto.

Ascolta l'intervista integrale a mons. Janbart

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01 novembre 2018, 10:52