Il neo segretario generale Ccee, don Martin  Michaliček Il neo segretario generale Ccee, don Martin Michaliček 

Neosegretario Ccee: Chiesa ha ancora molto da dare all’Europa

A Vatican News l’intervista al nuovo segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), don Martin Michalíček. Oggi a Poznan, in Polonia, la sua elezione

Alessandro Gisotti - Poznan

Quarantaquattro anni, slovacco, don Martin Michaliček è il nuovo segretario generale del Ccee, eletto stamani dall’organismo ecclesiale europeo in plenaria a Poznan. Nella sua prima intervista dopo la nomina - rilasciata a Vatican News - don Michaliček parla del contributo che la Chiesa può dare ai popoli europei. (Ascolta l'intervista a don Martin Michaliček , segretario generale Ccee)

Don Martin un’elezione importante: segretario generale del Ccee. Con quali sentimenti lei vive questa elezione, in un momento anche particolare per l’Europa, ovviamente delicato, e dove la Chiesa può dare tanto…

R. – I primi sentimenti, quelli che sento nel cuore, sono sentimenti di umiltà e di ringraziamento per la fiducia che mi è stata regalata. Insieme a questi, sento anche una responsabilità per il futuro: quella di essere sempre al servizio del Signore, della Chiesa; di non cercare i propri interessi personali ma l’interesse di Cristo come ha detto San Paolo. Questo è un cammino che non ci lascia mai contenti di noi stessi, ma che ci invita sempre ad essere vigilanti nei riguardi di noi stessi e di quello che accade attorno a noi. 

L’Europa vive un momento delicato. Che cosa il Ccee può dare?

R. – Sì, la delicatezza di questi tempi consiste nel fatto che l’unità, tanto sperata ed attesa, da quattordici anni a questa parte, da quando cioè alcuni Paesi dell’Europa centrale – incluso il mio, la Slovacchia – sono entrati nell’Unione Europea, sembra essere sempre più fragile. Il mio contributo è quello di servire l’unità, sforzandosi per raggiungerla, perché io ho vissuto il comunismo fino ai miei sedici anni e ho visto cosa significava vivere una vita “ambigua”: da un lato si viveva come i comunisti si aspettavano; ma dall’altro si viveva secondo la coscienza. Questo potrebbe essere il contributo che noi, provenienti dall’Europa centro-orientale, possiamo portare: avere coraggio, vivere la propria fede con purezza e sincerità del cuore, anche controcorrente. Un atteggiamento controcorrente rispetto alla politica e rispetto alla mentalità e alla cultura dell’egoismo, del benessere e molto altro.  

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14 settembre 2018, 15:43