Don Pietro Pappagallo Don Pietro Pappagallo

Don Pietro Pappagallo è Giusto tra le nazioni: un esempio per la modernità

Unico sacerdote fra le 335 vittime dell'eccidio nazista delle Fosse Ardeatine del 24 marzo del 1944, il sacerdote di Terlizzi don Pietro Pappagallo ha ottenuto a Gerusalemme il riconoscimento del coraggio e della dedizione con cui ha sottratto alla morte tanti ebrei, oltre che soldati e antifascisti

Gabriella Ceraso- Città del Vaticano

Una vita dedicata agli ultimi quella di don Pietro Pappagallo, in un'opera di assistenza materiale e spirituale che durò fino all'ultimo istante della sua vita, quando il 24 marzo del 1944 nella cella numero 13 del carcere di via Tasso a Roma, i nazisti lo prelevarono per portarlo sull'Ardeatina e fucilarlo vendicando in questo modo 33 militari dell'esercito tedesco uccisi il giorno precedente. Oggi è “Giusto tra le nazioni”, riconoscimento finora conferito a circa 22mila persone, fra cui poco più di 400 italiani, dalla Commissione costituita presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, e che comporta l’iscrizione sul muro perimetrale del Memoriale dell’Olocausto e il conferimento di una medaglia e di una pergamena dallo Stato d’Israele ai suoi parenti. 

Apostolo della Resistenza

Don Pietro visse quasi vent'anni a Roma, quinto di otto fratelli e orginario di Terlizzi in provincia di Bari. Sin dal 1925 quando arrivò nella capitale per la prima volta, si mise a servizio degli ultimi, in particolare degli operai e dei lavoratori sfruttati e in condizioni di miseria. La sua casa di Via Urbana 2 diventò un punto di riferimento per quanti avessero bisogno di un sostegno economico, di indumenti, di cibo o di documenti, e così accadde anche durante l’occupazione tedesca quando don Pietro si impegnò con zelo a fornire aiuto a soldati, partigiani, alleati, ebrei, "indiscriminatamente". ”Grazie alla tipografia di un suo cugino”- racconta Georges de Canino della comunità ebraica romana - “iniziò a stampare documenti falsi per quanti rischiavano di finire nelle mani dei nazifascisti”. (Ascolta l'intervista a Georges de Canino sulla figura di don Pietro Pappagallo).

Un martire della Chiesa, un esempio per l’umanità

Don Pietro aiutava tutti e “per noi, quello di Giusto tra le nazioni è un grande riconoscimento” spiega Georges de Canino, un modo per "rinsaldare il legame col popolo ebraico: “lui non è stato indifferente, non si è girato dall’altra parte”, “è stato un punto di riferimento, un martire della Chiesa che lottava contro la barbarie e questa è una grande vittoria per tutti oltre che per il dialogo ebraico cristiano". Sicuramente "verrà ricordato sempre di più come un esempio tra le genti di solidarietà, di altruismo, di bene".

Combattente contro l’indifferenza

De Canino racconta anche come don Pietro in cella a via Tasso, venisse “denudato, schernito e offeso col soprannome di Corvo nero dai nazisti che non gli perdonavano di aver protetto gli ebrei”, e come riuscì, nonstante tutto, a non perdere mai la diginità impegnandosi anzi, fino alla fine, a “condividere quello che aveva con i suoi compagni”. Al mondo di oggi, sottolinea ancora Georges de Canino, don Pietro lascia il messaggio forte della vicinanza e non dell' indifferenza nei confronti di chi è “perseguitato, di chi rischia la vita, di chi fugge dai pericoli e dalle guerre”. E’ un “martire della fede” – secondo il riconoscimento che gli venne da Giovanni Paolo II nel 2000 - ed è per la comunità ebraica un “apostolo della Resistenza”.

Gemma sacerdotale

Don Pietro è ricordato quale martire del XX secolo anche dal postulatore della sua Causa di Beatificazione, il frate cappuccino padre Massimiliano Noviello che ribadisce l'impegno del sacerdote pugliese contro la discriminazione, la guerra, il razzismo in nome degli ideali di libertà, giustizia, pace e rispetto della dignità umana. Don Pietro ne emerge come una "gemma sacerdotale che arricchisce la vita della Chiesa". (Ascolta l'intervista a padre Massimiliano Noviello su don Pietro Pappagallo)

Modello di speranza e uomo di pace

Durante la sua terribile prigionia a Via Tasso, ricorda ancora padre Massimiliano, don Pietro "fu modello di speranza eroica, di carità inaudita per i suoi compagni, che lo raccontarono quando furono liberi". Li invitava a pregare, a "invocare Maria": don Pietro "accettò eroicamente il martirio per accompaganare all'incontro con Dio i suoi 334 compagni che alle Fosse Ardeatine benedisse prima di essere condotto a morte e prima di chiedere a Dio il "perdono per i suoi carnefici". 

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16 luglio 2018, 14:09