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I Vescovi del Myanmar chiedono pace e giustizia per i Kachin

L’ appello di monsignor Francis Tang, vescovo di Myitkyina, dopo i nuovi scontri tra indipendentisti del Kachin ed esercito dell'ex Birmania, che colpiscono pesantemente i civili della minoranza cristiana. “Sto mediando coi capi militari, non c’è cibo, né medicine e la gente è bloccata”

Alessandro Di Bussolo e Philippa Hitchen - Città del Vaticano

Il primo maggio l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Myanmar, Yanghee Lee, ha denunciato che le forze armate dell’ex Birmania hanno usato artiglieria pesante e condotto raid aerei nello stato di Kachin, al confine con la Cina, anche contro civili, nel corso degli scontri con i guerriglieri dell'esercito di indipendenza Kachin. Il Kachin Indipendence Army (Kia), rappresenta la minoranza etnica cristiana, soprattutto protestante, ma ha anche una componente cattolica.

L’inviato Onu: “fermare le violenze contro i civili”

Mentre il mondo si concentra sulla difficile situazione dei musulmani Rohingya, semmpre in Myanmar, l’ inviato speciale dell’ Onu denuncia che la situazione nello stato di Kachin "è del tutto inaccettabile e deve cessare immediatamente". "I civili non devono mai essere sottoposti a violenza durante il conflitto. Tutte le parti devono prendere ogni misura necessaria per garantire la loro sicurezza e protezione".

I Kachin chiedono una forte autonomia

I Kachin chiedono una forte autonomia in un assetto federale, mentre il governo, prima quello militare poi quello cosiddetto democratico, vuole che il Kia prima ceda le armi e poi se mai si discute. Nell’ottica del potere centrale, i combattenti Kachin dovrebbero poi diventare una specie di guardia di frontiera controllata dall’esercito regolare, il tatmadaw.

Un conflitto iniziato nel 1947 e ripreso nel 2011

Sul dramma dei civili del Kachin, vittime di un conflitto che dura praticamente dalla fine dell’occupazione britannica nel 1947, ed è ripreso con violenza nel 2011, dopo 17 anni di armistizio, Philippa Hitchen ha raccolto la testimonianza di monsignor Francis Tang, vescovo di Myitkyina, con Laiza una delle città principali dello stato. Tang è in Vaticano con gli altri vescovi del Myanmar per la visita “ad Limina”.

I vescovi del Myanmar in Vaticano per la visita "ad Limina"

“Noi in quanto leader di Chiese e di comunità – spiega il vescovo - abbiamo fatto il possibile per stabilire un contatto e mediare con i militari, ma non c’è stato modo. Per questo molti giovani stanno organizzando manifestazioni, chiedendo agli uomini armati e ai soldati di lasciare andare la gente”.

Si parla di persone uccise e di persone a cui è stato rifiutato il sostegno alimentare. La gente è veramente disperata … che notizie può darci?

“A giudicare da quello che mi dicono, si trovano in una situazione veramente sgradita. Non c’è cibo, non ci sono cure mediche né libertà di movimento e quindi le persone rimangono confinate in uno spazio determinato”.

Abbiamo sentito dire però anche che ci sono stati bombardamenti e vittime. Sa quante sono state le vittime?

“Non lo so di preciso, ma sono diversi i villaggi coinvolti; so di un incidente in particolare, perché sono andato dalla famiglia: il padre ucciso sul posto, la madre ferita in modo grave. Quando sono arrivato, la sparatoria era finita e la madre era appena stata portata in ospedale dove è stata operata per rimuovere la pallottola. Ma non sono riuscito a sapere altro”.

Lei, insieme ad altri capi religiosi, è impegnato nella promozione della riconciliazione; a causa di questi ultimi incidenti, questo processo si è arrestato definitivamente?

“ Fino al giorno degli incidenti, solo io in quanto vescovo, e il confratello di Laiza, eravamo stati accettati dai capi militari supremi. Altri capi religiosi non erano stati accettati. Prima di andare, avevo la consuetudine di chiamare per avvisare che volevo andare a colloquio per portare informazioni; dopo questo incontro, riportavo informazioni che condividevo con altri capi religiosi. Questa è la situazione allo stato attuale”.

Qual è il suo appello alla comunità internazionale?

“Noi vogliamo la pace e giustizia, solo questo. Se non c’è pace, non c’è giustizia. Chiediamo, da parte dei Kachin e di tutta la popolazione del Myanmar, pace e giustizia”.

Una guerra di posizione con 300 mila profughi

Quella nel Kachin è una guerra di posizione a bassa intensità, che però ha provocato già circa 300mila profughi disseminati in diversi campi sia nella zona controllata dalle autorità sia in quella controllata dai Kachin. Il Kia conserva una striscia di terra appiattita lungo il confine cinese e due città principali, Laiza e Myitkyina. I suoi avamposti nella foresta ogni tanto vengono attaccati dall’esercito regolare, poi in genere vengono rioccupati quando l’esercito se ne va.

A farne le spese sono soprattutto i civili, in genere contadini, che subiscono violenze e torture. I loro villaggi vengono bruciati e rasi al suolo, e questo provoca l’ondata di profughi che si concentrano in campi diventati ormai quasi delle cittadine semi-permanenti.

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03 maggio 2018, 16:10