Roberta Barbi – Città del Vaticano
I “figli del tuono”: così Gesù chiamava gli apostoli Giacomo e Giovanni per il loro carattere forte e irruento; i modelli perfetti per Teresio Olivelli, che spesso scherzava sul fatto di essere stato battezzato nella parrocchia di San Giacomo e perciò doveva essere un “figlio del tuono” pure lui. E lo era, in tutto quello che faceva: nel lavoro da assistente a giurisprudenza all’università di Torino, nel servizio che svolgeva al Cottolengo, fino alla decisione di arruolarsi, perché non sopportava che al sacrificio estremo della vita fossero destinati solo i più poveri. Una testimonianza cristiana costante che lo porterà fino al martirio, come ricorda il cardinale Amato:
“Parlare di Teresio Olivelli è parlare di un giovane entusiasta della propria fede e amante della propria patria. Se l'Italia gli ha conferito la medaglia d'oro al merito di guerra, la Chiesa lo ha riconosciuto martire eroico nell'esercizio delle virtù della fede, della speranza e della carità”.
Aderì al fascismo finché non si rese conto che questo non poteva costruire la società coerente con il Vangelo che sognava, non con la guerra e con i morti. In seguito fu nella resistenza senza essere della resistenza, fedele solo alla parola di Gesù: “Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce e mi segua”. Andò in guerra, sì, ma con un cuore di pace che lo spingeva non dove era il successo, ma dove risiedeva il fallimento; le sue armi, pur nel conflitto, furono sempre l’amore per il prossimo e il sacrificio di sé: per questo si adoperava per soccorrere i commilitoni fratelli e per diffondere, sempre, i valori della misericordia, del perdono, della libertà e della giustizia, saldamente ancorati a una fede solidissima:
“La fede del nostro Beato era alimentata dalla preghiera e dall'eucaristia. Durante la guerra sul fronte russo o nella prigionia dei campi di concentramento colpiva la genuinità della sua fede, semplice, convinta, manifestata con le parole e soprattutto con le opere: incoraggiava, sosteneva, consolava, confortava. Pregava e faceva pregare. Nella dolorosa ritirata dalla Russia i soldati trovavano accoglienza e conforto religioso in Teresio. Amava Dio, amava la Chiesa, amava il Papa, amava gli altri con quella carità evangelica insegnataci da Gesù: amare il prossimo come se stessi. La carità era il tessuto della sua vita”.
Ribelle, sempre e comunque, ma per amore, mentre tutto intorno a lui era odio e violenza; ribelle come ogni buon cristiano che porta avanti quella rivoluzione morale nel mondo che innalza il Signore e che, qualche volta, spinge fino al martirio. “Nella tortura serra le nostre labbra – spezzaci, non lasciarci piegare – se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e carità”. Così scriveva nella preghiera “Facci liberi” e così percorreva il suo cammino verso il martirio che si compì nel campo di sterminio nazista di Hersbruck nel 1945. Non riuscì a vedere la fine di quella Seconda Guerra Mondiale che illuminò con la sua luce di santità; una santità che non è riservata solo ai consacrati, perché la salvezza è di tutti, come conclude il porporato:
“Non tutti i Santi sono sacerdoti o religiosi. Il battesimo è la porta che ci immette nella vita di Dio, carità e misericordia senza confini. Il Beato Teresio Olivelli fece del suo battesimo una sorgente di energia divina fatta di carità, di bontà, di dinamismo apostolico, di testimonianza eroica del Vangelo”.