Saranno proclamati Beati 19 religiosi uccisi in Algeria dal 1994 al 1996 Saranno proclamati Beati 19 religiosi uccisi in Algeria dal 1994 al 1996 

Mons. Vesco: beatificazione martiri promuova dialogo con islam

Saranno proclamati Beati 19 religiosi uccisi in Algeria dal 1994 al 1996 in odio alla fede. Intervista con l'attuale vescovo di Orano, mons. Jean-Paul Vesco

Marie Duhamel – Città del Vaticano

Grande gioia nella Chiesa in Algeria, per il riconoscimento del martirio dei religiosi uccisi nel Paese dal 1994 al 1996 e che saranno presto proclamati Beati. Abbiamo sentito in proposito il commento del vescovo di Orano, mons. Jean-Paul Vesco:

Per me è una gioia profonda vedere che la testimonianza di questa piccola Chiesa, a partire dall’indipendenza, è quella di voler essere una presenza amichevole in seno al popolo algerino fino al dono del sangue e di avere accompagnato questi amici algerini - questo popolo - nella grande difficoltà di questi dieci anni bui. Questa testimonianza è riconosciuta ed il suo valore evangelico si propone come un modello possibile per i cristiani del mondo intero, ma anche come un modello del legame tra musulmani e cristiani; ed è effettivamente una fonte di gioia profonda. E neanche senza preoccupazione, perché è una Beatificazione che è essa stessa una testimonianza. Ciò significa che si tratta di fare di questa Beatificazione, per noi, per me che sono vescovo qui a Orano e per la nostra Chiesa, una testimonianza; e questo sarà difficile. Non menzioniamo il passato: si tratta di fatti di vita che sono straordinariamente recenti e quindi è veramente una circostanza per noi molto particolare: una sfida molto grande.

Penso che queste Beatificazioni siano anche un segnale forte per la vostra missione quotidiana, in Algeria…

R. – Per questo, è necessario che il senso sia compreso, perché questa Beatificazione è piena di significato ed è anche piena di possibili equivoci. Innanzitutto, la nostra presenza in Algeria è stata sempre volutamente discreta e la sfida sarà proprio quella di mettere in luce questa discrezione, senza che tutto d’un tratto questa presenza perda la discrezione. Bisognerà spiegare che cosa è una Beatificazione: non sanno di cosa si tratta nel mondo musulmano. E poi c’è il rischio enorme che la Chiesa appaia come un’entità che voglia mettere in mostra questi testimoni – questo significa la parola “martire” – mentre ci sono state 200mila vittime nel Paese. Bisognerà far vedere che il valore di questa testimonianza e cioè di cristiani che sono morti o che hanno corso il rischio di perdere la vita per restare al fianco dei musulmani e che non sono stati uccisi da musulmani. Questa sarà per noi l’occasione di ricordare, ancora e ancora, che coloro che hanno lottato contro la violenza sono prima di tutto dei musulmani. Un centinaio di imam hanno perso la vita. Questi eroi del quotidiano, nell’arco di questo decennio nero, hanno perso la vita in nome della fede - quelli che chiamiamo “santi”- e sono molto numerosi. La sfida è di mettere in luce tutto questo. Il rischio è che di un tratto si dia l’impressione di mettere da parte tutto quello che è stato vissuto da questo popolo.

Quindi, sarà una cosa delicata il fatto che questa Beatificazione si possa svolgere in Algeria…

R. – Noi speriamo davvero con tutto il cuore che questa Beatificazione possa svolgersi in Algeria: non soltanto in Algeria, ma proprio a Orano. E ovviamente per me è un grande onore, perché di solito le Beatificazioni si tengono nei Paesi dove i Beati hanno dato la loro testimonianza. E qui la particolarità è che non è una società cristiana, bensì in maggioranza musulmana. Ma credo che sia possibile e che possa avvenire in uno spirito di pace. Anche se per questo bisognerà aspettare un po’. Sarà una celebrazione che si terrà nella discrezione: questo è quello che speriamo.

Il dono della vita, lo spirito di apertura e di dialogo: queste tre parole chiave può essere che vadano riprese?

Si parla di “martirio”, cioè di dono della vita fino al sangue, nella fede. E questo è vero: bisogna riprendere quindi una dimensione particolare della nozione di martirio, perché non si tratta di vite che sono state “prese”, ma di vite che sono state donate in anticipo; esisteva un rischio ed è stato corso: quello di restare accanto alla popolazione. Anche se la Chiesa è considerata come straniera – e questa è una cosa che ci fa soffrire – la Chiesa, a partire dall’indipendenza, ha voluto essere parte della società: ed è questa la sua testimonianza e la sua forza.

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27 gennaio 2018, 14:44