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Padre Patton: fare di Gerusalemme una realtà condivisa

Il Custode di Terra Santa padre Patton spiega che Gerusalemme deve essere una città condivisa e non divisa: condivisa tra due popoli e tra le tre religioni. E’ bene far lavorare la diplomazia ed occorre saggezza e prudenza

“Riaffermiamo la nostra chiara posizione nel chiedere il mantenimento dello status quo della Città Santa fino a quando non sarà stato raggiunto un giusto accordo di pace tra israeliani e palestinesi sulla base di negoziati e della legge internazionale”. Così nel loro messaggio natalizio, i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme. Tra loro, oltre a mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei latini, anche il Custode di Terra Santa Francesco Patton il quale spiega al microfono di Antonella Palermo la posizione della Santa Sede e della Chiesa sulla questione di Gerusalemme

Ascolta l'intervista a padre Patton

R. - Sappiamo quella che è la posizione della Santa Sede, la posizione che preferisce sempre quando si parla di Gerusalemme: ricordare che deve essere una città condivisa piuttosto che una città divisa, quindi una città condivisa tra due popoli e una città condivisa tra tre religioni. Ovviamente, i due popoli sono il popolo israeliano e il popolo palestinese e le tre religioni sono l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo. Quindi è per questo che spesso si fa riferimento al cosiddetto status quo, cioè a una situazione che evita uno sbilanciamento per così dire in una sola direzione. L’idea di fondo è proprio quella di fare di Gerusalemme una realtà condivisa.

D. – E’ preoccupato delle mire del presidente Trump su questa città?

R. – Io non sono preoccupato delle mire, io sono preoccupato sempre delle conseguenze che ci sono a livello locale quando vengono anche fatte dichiarazioni in maniera unilaterale. E’ sempre bene far lavorare anche la diplomazia che conosce anche la misura del linguaggio, quella che Papa Francesco, ha chiamato saggezza e prudenza. E’ importante sempre nelle parole avere saggezza e prudenza, quindi sapere che in una realtà come quella di Gerusalemme, le parole possono toccare delle sensibilità molto particolari. E di conseguenza bisogna sempre consultarsi e fare attenzione a non sbilanciare un processo che richiede una grande capacità di equilibrio. Quello che noi abbiamo notato non è un cambiamento di vita lì a Gerusalemme, quanto il venir meno di pellegrini a Gerusalemme; il sapere che molti che desideravano venire come pellegrini per le feste del Natale invece hanno disdetto. Questo ci dispiace perché questo è perdere un’occasione: l’occasione anche di vivere nella fede il mistero dell’incarnazione, dove l’incarnazione si è realizzata. Questo è il venir meno anche di un sostegno alla piccola comunità cristiana locale che ha bisogno di sentire anche la vicinanza dei cristiani di tutto il mondo. Ed è anche un danno – direi – economico per la piccola comunità cristiana locale, che può vivere della dignità del proprio lavoro soprattutto grazie alla presenza dei pellegrini. I pellegrini in Terra Santa sono sempre stati rispettati e lo sono anche adesso. Quindi a me personalmente dispiace che ci sia un po’ questo spaventarsi…

D. – Questo turbamento, insomma… Se avesse la possibilità di dire una parola al presidente americano, padre Patton?

R. – Gli direi che noi in Terra Santa preghiamo tutti i giorni perché si compia la pace, e preghiamo perché tutti gli uomini che hanno anche potere in questo mondo lavorino per favorire questo processo.

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21 dicembre 2017, 13:19