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Arnolfo di Cambio e bottega, Papa Bonifacio VIII e due profeti, 1296-1310, marmo bianco; la collocazione originaria doveva essere sulla facciata della cattedrale di Firenze, Sala del Paradiso, ©Museo dell’Opera del Duomo di Firenze Arnolfo di Cambio e bottega, Papa Bonifacio VIII e due profeti, 1296-1310, marmo bianco; la collocazione originaria doveva essere sulla facciata della cattedrale di Firenze, Sala del Paradiso, ©Museo dell’Opera del Duomo di Firenze 

Cronache dal primo Giubileo: Roma tra fede e ingorghi

Documenti antichi raccontano con vivezza di particolari scene di ordinaria straordinarietà nei mesi dell’Anno Santo del 1300

di Felice Accrocca

Tutto, nel Giubileo indetto da Bonifacio VIII, fu connotato in termini di grandezza, a cominciare dal gran numero dei pellegrini. Le cronache ne portano sovente il ricordo, facendovi sempre riferimento con grande meraviglia: «Andovvi grandissima gente di tutta la cristianità — annota una Cronaca senese di autore anonimo della metà del Trecento — sì che parve incredibile a chi non l’avesse veduta». Gente d’ambo i sessi, ciò che destava uno stupore ancor maggiore, poiché di solito la folla dei pellegrini era costituita da uomini più che da donne. «E andavano el marito e la moglie e figlioli — continua l’autore della suddetta Cronaca — e lassavano le case serrate e tutti di brigata con perfetta divozione andavano al ditto perdono».

Se ne ha peraltro conferma in una curiosa lapide che può tuttora ammirarsi a Firenze, in via Giovanni da Verrazzano, dove si legge (in latino) che nell’anno 1300 il Santo Sepolcro fu tolto dai tartari ai saraceni e restituito alla cristianità; inoltre, si accenna all’indulgenza promulgata da Bonifacio viii e al fatto che molti, anche tartari, si recarono a Roma per tale motivo. Quindi, nella chiusa, un inatteso passaggio al volgare: «E andovi Ugolino cho la molgle». Chi sia questo Ugolino resta un mistero, nonostante in molti abbiamo tentato di dargli un’identità: credo sia logico supporre si sia trattato di un cittadino certo benestante, senza tuttavia ruoli di rilievo, ché altrimenti sarebbero stati — con buona probabilità — segnalati.

Una folla straordinaria crea sempre — ieri come oggi — notevoli ingorghi. E tanti ne provocò in quell’anno, quando Roma, soprattutto nei periodi di punta, in prossimità delle grandi feste e in altri momenti dell’anno che non fossero l’estate (nel Medioevo l’aria di Roma non era infatti la migliore in quella stagione) o quando l’agricoltura richiedeva grande impegno di manodopera era invasa da salmodianti truppe di romei. Non deve perciò stupire che sia stato necessario correre ai ripari. Ne segnalo due, di cui ci danno notizia due testimoni d’eccezione.

La prima la traggo dal Libro sul centesimo anno o Giubileo del cardinale Stefaneschi. Testimone di prima mano dello straordinario evento, assicura che, «col divulgarsi sempre più la notizia dell’indulto dell’anno centesimo, folle di gente si avviavano all’istante a frotte verso Roma, così numerose da lasciare dovunque passassero l’impressione di un esercito o d’uno sciame. Infatti, dentro e fuori le mura della città una fitta moltitudine s’ammassava sempre più, quanto più passavano i giorni, col rischio che molti restassero schiacciati dalla calca. Fu allora adottato un rimedio vantaggioso, anche se non del tutto sufficiente: si aprì nelle mura una seconda porta per fornire ai pellegrini una via più breve, tra il monumento di Romolo e la via antica». Un’altra porta, quindi; forse, come ha ipotizzato Arsenio Frugoni, «tra il presunto Sepolcro di Romolo davanti a Santa Maria in Traspontina e, probabilmente, la porta Castelli».

Era certo da nord che proveniva il gran fluire di gente, ché da sud l’afflusso poteva venire solo dall’Italia meridionale. Ma poi tutti, stranieri o romani, finivano per accalcarsi intorno alle basiliche, in primo luogo a quella del principe degli apostoli. Ed era là, soprattutto, che si verificava l’ingorgo. Fu così che si ricorse a quello che possiamo definire come il primo senso unico della storia o, almeno, il primo di cui ci è rimasta notizia. Ce ne rende edotti il Sommo poeta (Inferno, xviii, 28—33):

      «Come i Roman per l’esercito molto,
      l’anno del giubileo, su per lo ponte
      hanno a passar la gente modo colto,
      che da l’un lato tutti hanno la fronte
      verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro,
      da l’altra sponda vanno verso ‘l monte».

Su ponte Sant’Angelo, quindi, fu posto un divisorio in modo che la gente fosse incanalata per ogni lato così da procedere solo in un verso o nell’altro. Tuttavia, quello degli ingorghi non era l’unico problema a cui bisognava far fronte. Diverse erano le esigenze poste da questo «esercito molto». Per il pernottamento, un grande aiuto era fornito dalle scholae peregrinorum, dove si ritrovavano i pellegrini delle diverse nazioni; anche allora, però, molti approfittavano per render disponibili le proprie abitazioni, trasformandole in qualcosa di molto simile agli odierni Bed and Breakfast. E poiché le esigenze non erano certo quelle moderne, ci si adattava pure a dimorare in locali comuni.

C’era poi il problema dell’approvvigionamento, poiché ogni pellegrino era una bocca da sfamare. Prodigo di notizie, ci viene ancora una volta in soccorso lo Stefaneschi: «Per l’inatteso afflusso di romei, dopo che per tre mesi circa Roma li ebbe forniti in abbondanza di tutto il necessario per vivere, incominciò a presentarsi il pericolo di carestia, soprattutto perché sembrava che né i forni né i molini sovraccarichi sarebbero bastati alla moltitudine; e il Tevere, ingrossato per le piogge, era alquanto tracimato alimentando i timori del popolo. Per quanto in realtà le granaglie fossero sufficienti, si provvide tuttavia prontamente con un duplice rimedio; il primo: fu ordinato ai castelli vicini, fornitori abituali di grano a Roma, di fornire pane in quella circostanza; il secondo: la gente stessa, per non sottostare all’eventualità di una scarsità di granaglie, venendo doveva recare con sé i giumenti carichi di cibarie; con tale accorgimento si diede un breve respiro all’approvvigionamento, le scorte furono ricostituite, così che i mulini, i forni ed anche il pane in vendita a canestri nei borghi bastavano in abbondanza; e anzi, cosa di cui, al considerare la moltitudine raccoltasi in quell’anno centesimo, i contemporanei rimasero fortemente stupiti, e forse lo saranno ancora di più i posteri, non mancò mai a Roma cibo o bevanda per tutta la durata del giubileo, che anzi la messe fu considerevole, i torchi traboccavano di vino ed abbondante fu il raccolto, salvo naturalmente il rincaro delle merci col ritorno dell’ottobre e delle piogge autunnali».

Roma, in qualche modo, superò l’esame, doppiamente difficile, e perché non previsto in anticipo e per lo straordinario afflusso di gente cui si dovette far fronte. La città sarà pronta anche oggi a fare altrettanto?

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05 maggio 2024, 12:42