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Padre Gigi Maccalli nel corso della registrazione del podcast: "La pace in ostaggio". Padre Gigi Maccalli nel corso della registrazione del podcast: "La pace in ostaggio". 

“La pace in ostaggio”, podcast su padre Maccalli e il suo cammino di riconciliazione

È on line il primo episodio dedicato al missionario rapito in Niger nel 2018 e poi liberato due anni dopo in Mali. Un lungo sequestro nel quale maturare il perdono per i jihadisti che lo hanno rapito e la forte vocazione a lavorare per la pace. Un racconto che prende spunto dal suo ultimo libro “Liberate la pace”

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Non è un caso che il podcast su padre Gigi Maccalli, per due anni in catene nel Sahel, esca nella Settimana Santa. La sua storia, ripercorsa nell’ultimo libro “Liberate la pace – Per vedere oltre i confini. Un missionario rilegge il suo rapimento nel Sahel”, è una vera e propria Via Crucis, con il dolore di essere stato strappato da una realtà, quella della comunità di Bomoanga, nella zona sud-occidentale del Niger, popolata dai gurmancè e abitata da oltre dieci anni. La sua è anche una storia di resurrezione che parte dal disarmare le parole e se stessi e approda al perdono dei carcerieri, alla scoperta di gesti piccoli di umanità, ad una fratellanza che serve per costruire la pace. La nuova missione di padre Gigi.

Nel deserto le onde della Radio Vaticana

Nel podcast, composto da quattro episodi, si racconta la vicenda del rapimento del missionario, intrecciandola con le testimonianze raccolte allora dalla Radio Vaticana. L’emittente del Papa ha anche avuto un ruolo nel percorso di padre Gigi perché, grazie ad una radiolina cinese, lui ha potuto ascoltare la Messa di Pentecoste del 2020 e l’omelia di Papa Francesco.

Lì ho vissuto, dopo mesi e mesi di aridità spirituale, ho sentito la parola di Dio, ho sentito il Papa darne la spiegazione e mi ha aperto il cuore è stato veramente un respirare ossigeno, è stato acqua fresca per il mio cuore arido e io ne sono riconoscente a Radio Vaticana di questo, di avere così lanciato sulle onde questo messaggio che ha attraversato il deserto e mi ha raggiunto. Io mi sono sentito in San Pietro, nella basilica del Papa e al tempo stesso nelle periferie. È stata un'esperienza di comunione molto particolare.

Il mio cuore spezzato

Quello che racconta padre Maccalli tocca profondamente perché con verità mette a fuoco la sua “conversione religiosa”, la definisce così, che inizia nel silenzio del deserto, continua nella spogliazione di sé, nel trovare che “la preghiera è disobbedire alla solitudine”. Proprio nel deserto riesce anche a celebrare la Messa.

Io mi appartavo ogni domenica su quello che ho chiamato l'altare di sabbia, lontano dallo sguardo dei mujaheddin e mi soffermavo su un Vangelo. Aprivo il mio cuore, una preghiera di intercessione a 360 gradi, portando volti, persone, situazioni che ho nel cuore, meditando un Vangelo. E poi il momento della consacrazione io misuravo queste parole: non avevo con me né pane né vino ma “Signore, questo è il mio corpo ferito. Questo è il mio cuore spezzato. Non ho altro da offrirti”. Ecco, io misuravo in queste parole l'offerta della mia vita. Ciò che io ho studiato, ciò che io in teologia ho approfondito, ne ho fatto l'esperienza come la Messa non sia qualcosa che il prete fa, non è una memoria semplice di un passato, ma è questa offerta che si attualizza in quello status. Io, in quel deserto, in quella prigionia ho offerto me stesso e ho dato la mia vita, tutto ciò che avevo. Questo era il senso della mia Messa in quel deserto.

Profondamente in pace

Dalla preghiera nasce il perdono che, confessa padre Gigi, non è stato immediato. “Ho fatto due quaresime, ho fatto il cammino della croce ogni venerdì di queste due quaresime, meditando le sette parole di Gesù in croce, tra cui questa del perdono. Queste hanno scavato dentro di me fino alla decisione di non portare rancore, di non provare odio, ma provare a perdonare come il Cristo fa sulla croce. Io ho perdonato e mi sento profondamente in pace”. Missionario di pace, è quello che oggi si impegna a fare, perché la pace, scrive, è una parola “fragile e sacra”.

Non solo dobbiamo parlare di pace. È la porta del futuro quella pace che nasce da questo oltre, da questo incontro con questo Dio che è altro rispetto a quanto noi abbiamo forse pensato di lui, immaginato di Lui. È la sola e unica strada per costruire un mondo di fraternità. Ma non banalizziamo questa parola “pace”, è troppo sacra e troppo importante. Io credo che il Signore ci sta chiamando in questo tempo a scoprire qualcosa di veramente fondamentale per costruire questo mondo nuovo, un mondo di pace, che è quello di incontrarci, ascoltarci, perdonarci, vivere da fratelli, non disumanizziamo la nostra vita, cerchiamo una creatività nuova in cui poter costruire relazioni nuove che saranno intonate a questo shalom che è armonia, armonia di rapporti, armonia con se stessi, armonia con Dio, armonia con il creato.

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27 marzo 2024, 11:31