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Il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi (foto d'archivio) Il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi (foto d'archivio)

Processo vaticano, lettera di Parolin: perseguire e punire tutti i reati

Letta in aula una missiva del Segretario di Stato a conclusione della 84.ma udienza del procedimento sulla gestione dei fondi della Santa Sede. Oggi la replica delle parti civili e del promotore Diddi: “Nessun altro argomento dalle difese che attaccare il nostro Ufficio. Rispettati tutti i principi del giusto processo”. Sul memoriale di Perlasca: “Mai stato cardine dell’indagine. Le testimonianze di Ciferri e Chaouqui pari a zero”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Facendo seguito a posizione già assunta dalla Segreteria di Stato, confermo l’istanza di perseguire e punire tutti i reati su cui si agisce su istanza di parte e di cui la Segreteria di Stato è considerata parte offesa”. Con una lettera il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, interviene per la prima volta nel processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, giunto ormai dopo due anni e mezzo agli sgoccioli con la sentenza prevista per la fine di questa settimana. È stato il promotore di Giustizia aggiunto, Gianluca Perone, a leggere nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani la “dichiarazione” del segretario di Stato, datata 6 novembre ma comunicata oggi all’Ufficio del Promotore, in risposta ad una richiesta del medesimo Ufficio circa la mancanza di querela da parte della Segreteria di Stato e la conferma se ci fosse la volontà di procedere.

Attacchi all'Ufficio del Promotore

La missiva di Parolin ha concluso le oltre 9 ore della ottantaquattresima udienza, dedicata alle repliche del promotore Alessandro Diddi e delle quattro parti civili: Asif, Ior, Apsa, Segreteria di Stato e monsignor Alberto Perlasca, ex capo dell’ufficio amministrativo. Una udienza che si è aggiunta dopo la conclusione del dibattimento il 6 dicembre scorso in cui Diddi, in un’intera mattinata, ha ribattuto punto per punto alle arringhe delle difese che, all’unanimità, hanno affermato che proprio la fase dibattimentale avrebbe sgretolato il quadro accusatorio, facendo emergere non prove ma “false accuse” e “pregiudizi”. Tutte “contumelie aggressive nei confronti del Promotore di Giustizia”, ha affermato Diddi: “È la dimostrazione che in molti casi le difese non hanno avuto altri argomenti che attaccarci”. "Ci sono difensori, però - ha aggiunto - che la requisitoria scritta non l’hanno neppure considerata”. Ha quindi citato chat, email, pezzi di interrogatori o informative: “Tutte completamente ignorate”.

"L'ingresso" di Becciu nelle indagini

In particolare la difesa Becciu, ha sottolineato Diddi, “si è dimenticata di come il cardinale ha fatto ingresso nell’indagine” in cui inizialmente non era coinvolto: “È stato Becciu che quando ancora della sua persona non c’era neppure traccia, ha fatto di tutto per entrare nel processo difendendo l’operazione di Londra”, cioè la compravendita del palazzo di Sloane Avenue che ha causato una ingente perdita economica per la Santa Sede e che è al centro del procedimento giudiziario. A detta del pubblico ministero vaticano, dal 2019 e inizio 2020 l’ex sostituto della Segreteria di Stato avrebbe iniziato una vera e propria “campagna stampa nei confronti dell’Ufficio del Promotore che avrebbe preso un abbaglio sulla indagine”

Rispettati i principi del giusto processo

Ribattendo ad altri rilevi difensivi, Diddi ha bollato come “eresia sul piano giuridico” l’accusa che “sul piano del diritto internazionale la Città del Vaticano non ha recepito la Cedu” (la Convenzione europea dei diritti dell’uomo) per i principi del giusto processo. “Il contraddittorio è stato totalmente rispettato, è stata data ampia voce a tutte le difese, mai c’è stato il minimo ostruzionismo… Sono falsi problemi”.

Il memoriale di Perlasca

Ancora, Diddi si è soffermato sul noto memoriale depositato il 31 agosto 2020 da monsignor Perlasca, dal quale provenivano gran parte delle accuse contro Becciu e la cui genesi – come emerso – è stata condizionata da una “triangolazione” tra Perlasca, la sua amica Genoveffa Ciferri e la pr Francesca Immacolata Chaouqui. “Qualcuno ha detto che il memoriale è stata la ‘pietra angolare della indagine’. Non lo è… A parte che sul caso Marogna (la manager sarda che avrebbe usato i soldi forniti dalla Santa Sede per la liberazione di una suora per spese personali e per questo imputata, ndr), Perlasca non ha dato nessuno spunto investigativo, ma sul palazzo di Londra il monsignore ha una posizione che non ha avuto nessuna incidenza su truffa, peculato ecc”. E Ciferri e Chaouqui? “L’importanza di questi testimoni è pari a zero”, ha affermato il promotore.  

I rescripta del Papa

Nella sua replica Diddi ha poi toccato il tema dei rescripta del Papa sopraggiunti nel corso delle indagini e che ne avrebbero modificato le modalità; un punto criticato da tutti i legali delle difese perché, tra le altre cose, avrebbero permesso al promotore di selezionare a suo piacimento gli atti da consegnare alle difese. “Capisco che nel fare le difese bisogna stressare i dati…”, ha replicato Diddi, ma i rescripta “hanno avuto la funzione di normare attività altrimenti non disciplinate”. Sono stati quindi "una garanzia nei confronti di tutti coloro che hanno subito questo tipo di attività”.

La "vicenda Sardegna" e la "vicenda Marogna"

Spazio nelle quattro ore di intervento anche alle altre accuse nei confronti del cardinale Becciu, cioè la “vicenda Sardegna” (la difesa “non si è confrontata con gli esiti dell’indagine della Gdf di Oristano” sulla diocesi di Ozieri e la cooperativa Spes) e la "vicenda Marogna" (“Se fosse vero che Becciu è stato raggirato, perché non ha fatto denuncia? Perché la incontra ancora nel 2021? Perché la ospita a casa sua?”). Ma soprattutto Diddi ha evidenziato “il Papa non ha autorizzato i soldi alla Marogna, perché di lei non sapeva nulla, ma alla società britannica Inkerman”, incaricata di una mediazione per liberare la suora colombiana rapita in Mali. Ha quindi ribadito le sue conclusioni e richieste.

La replica delle parti civili

Altrettanto hanno fatto oggi anche le parti civili sui risarcimenti. In particolare lo Ior si è soffermato “sulla restituzione e sul danno”: “Quello dello Ior è un danno autonomo, dimostrato in modo rigoroso”, ha detto l'avvocato Roberto Lipari che ha puntato il dito contro l’ex direttore dell’allora Aif, Tommaso Di Ruzza che “sapeva bene i problemi legati alla vicenda Londra” ma ugualmente ha spinto perché si portasse avanti l’affare: “Lo Ior è vittima della slealtà di Di Ruzza”. Come pure di quella di Renè Brüllhart, ex presidente “che prendeva De Franssu (presidente Ior) sotto braccio e diceva: ‘Perché sei così testardo? Daglieli questi soldi ti copriamo noi’”. 

Un riferimento al finanziamento richiesto dalla Segreteria di Stato per chiudere quella che la legale Paola Severino, parte civile della SdS, ha definito una “dolorosa vicenda” dove i primi ad essere “ingannati” sono stati il cardinale Parolin e il sostituto monsignor Edgar Peña Parra. Severino ha anche parlato di una "riqualificazione" dei capi di imputazione e ha ringraziato il Tribunale per “l’ampiezza del dibattimento” che ha permesso di “mettere a posto alcune questioni e chiarire in che vesti e posizioni si trovavano soggetti di questa dolorosa vicenda”. Entrambi gli spunti sono stati ripresi dal professor Giovanni Maria Flick, parte civile Apsa, che ha parlato invece di “penosa vicenda” al centro di un processo durante il quale “sono stati difesi i diritti di tutti”.

Da parte sua l'avvocato di parte civile Asif, Anita Titomanlio, ha sottolineato i principi di autonomia e indipendenza dell'Authority da lei rappresentata, alla luce dei quali gli ex vertici dell'allora Aif non avrebbero potuto prestare la collaborazione allora richiesta dalla Segreteria di Stato rendendosi di fatto complici di gravi reati.

Domani, 12 dicembre, si pronunceranno gli avvocati delle difese. Ultima volta prima della sentenza che concluderà il più lungo e discusso processo che la Santa Sede abbia mai conosciuto.

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11 dicembre 2023, 19:30