Sandri al nuovo arcivescovo di Teheran - Ispahah: offrire la luce gentile del Vangelo
Isabella Piro – Città del Vaticano
È la figura di San Francesco e la sua esperienza di configurarsi pienamente al Cristo Crocifisso il modello richiamato dal cardinale Sandri nella sua omelia. A fare da sfondo alle sue parole ci sono la Basilica romana dei Santi XII Apostoli e la data 16 febbraio, giorno in cui il martirologio romano ricorda San Maruta, Patrono dell'Iran. Una ricorrenza non casuale, dal momento che il porporato presiede l’ordinazione episcopale di monsignor Dominique Mathieu, ofm Conv., nominato l’8 gennaio scorso arcivescovo di Teheran-Ispahah dei Latini. “Nel suo desiderio di recarsi pellegrino nei luoghi della nostra salvezza, nella cosiddetta Provincia d’Oltremare – spiega il prefetto della Congregazione delle Chiese orientali - Francesco ha incontrato il Sultano Al-Malik Al-Kamel”. Quell’incontro “non ha cambiato le sorti sul campo, ma ha avuto una forza ben più dirompente”: seminare il Vangelo, farlo germogliare e portare frutto. A più di 800 anni da tale momento, ricorda il porporato, ora il Papa invia come nuovo arcivescovo di Teheran-Ispahan proprio “un figlio di San Francesco”, con l’auspicio che possa continuare “lo stile di presenza” indicato dal Poverello di Assisi: “Parla con la vita prima che con le parole, e vivi sottomesso ad ogni creatura”. “A Damietta – dice ancora il Cardinale Sandri a monsignor Mathieu - Francesco non ha avuto paura di Maometto e il Sultano non ha avuto paura del Vangelo, l’uno e l’altro ponendosi in ascolto. Così potrai fare anche tu”.
La luce del Vangelo non abbaglia, ma guida
Il porporato si sofferma, poi, sulla comunità cattolica dell’Iran: la definisce “forse piccola nei numeri e diversificata nella tradizione rituale”, poiché accanto ai Latini, ci sono gli armeni e i caldei, nonché “i fratelli delle altre confessioni cristiane”. Il compito del nuovo arcivescovo sarà, dunque, quello di “offrire la luce del Vangelo”, una luce della quale “nessuno deve avere paura”, perché “non è un bagliore sfolgorante che abbaglia e distrugge come il lampo, ma è piuttosto quella luce gentile invocata dal Santo cardinale Newman che sa risplendere e guidarci a casa proprio quando la tenebra può sembrare più fitta e impenetrabile”. Quella stessa luce, evidenzia il prefetto vaticano, ha aiutato monsignor Mathieu a non scoraggiarsi di fronte al Covid-19, dal quale è stato contagiato pochi mesi fa, uscendone guarito.
L’esperienza di monsignor Mathieu in Belgio e in Libano
E lo ha supportato anche in passato, alla guida della Provincia Belga dei Frati minori conventuali, “nella testimonianza offerta come cristiani nella Chiesa di Sant’Antonio a Bruxelles, in una zona abitata in prevalenza da vicini appartenenti ad altre religioni, specie quella musulmana”. Lo stesso sostegno monsignor Mathieu lo ha avuto in Libano, “nella formazione dei confratelli più giovani, ma capace di tessere relazioni di amicizia con i fedeli non cristiani”. Nel 2013, infatti, il neo-Arcivescovo si è traferito nel Paese dei Cedri, nella Custodia Provinciale d’Oriente e di Terra Santa, dove è stato Segretario custodiale, formatore, maestro dei novizi e rettore dei postulanti e dei candidati. “La luce di Cristo ti ha guidato – aggiunge il porporato – e Dio non si dimenticherà di continuare a farlo ancor più da oggi”, in Iran.
Nello stemma episcopale, la stella persiana
Il cardinale Sandri evidenzia, inoltre, che il nuovo arcivescovo, partendo per “l’antica e nobile terra Persiana”, compie di fatto “a ritroso il cammino dei Magi che da quelle zone si misero in cammino scrutando le stelle e cercando il Salvatore”: di qui l’esortazione del porporato al neo-presule affinché “continui a scrutare i segni che Dio ancora invia per coloro che non smettono di cercarlo”. D’altronde, monsignor Mathieu ha scelto di porre nel suo stemma episcopale proprio “la stella persiana”, ovvero una stella giallo oro ad otto punte, formata da due quadrati. Essa simboleggia l’astro che i Magi seguirono per incontrare Cristo e raffigura anche il quadrato, forma geometrica tipica dell’area iraniana, simbolo dell’universo creato e della giustizia. Ma la stella ricorda pure la Vergine Maria: invocata con l’antico titolo di “Stella Maris”, essa è segno di speranza e stella polare per i cristiani. Il motto episcopale scelto dal neo arcivescovo, invece, recita “Deus meus in te confido”.
Celebrazione svolta nel rispetto delle normative anti-Covid
Accanto al cardinale Sandri, co-consacrati sono stati il cardinale Mauro Gambetti e monsignor Ignazio Bedini, Aaormative anti-Covid, sono stati il cardinale Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede; gli arcivescovi Giorgio Demetrio Gallaro e José Rodriguez Carballo, rispettivamente Segretari delle Congregazioni per le Chiese orientali e per gli Istituti di Vita consacrata e le società di vita apostolica; i vescovi Gianfranco Girotti, reggente emerito della Penitenzieria apostolica; Daniele Libanori, ausiliare del Vicariato di Roma per il settore Centro; Giuseppe Piemontese, vescovo di Terni; Rami Al Kabalan, Procuratore del Patriarcato di Antiochia dei Siri la Santa Sede. Presenti anche gli Ambasciatori dell'Iran e del Belgio presso la Santa Sede.
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