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Sant'Eusebio, vescovo di Vercelli

Eusebio

Nato in Sardegna alla fine del III secolo (283?), della sua famiglia e della sua infanzia non si altro, se non che ancora giovane si trasferisce a Roma per studio. Tale notizia suggerisce un buon tenore di vita dei genitori. Durante la permanenza romana ha modo di frequentare la scuola cristiana, riceve il Battesimo e approfondisce le verità della fede. In questo percorso, conosce un giovane romano, Liberio, che diventerà papa. Insieme conoscono anche Atanasio di Alessandria, cacciato dagli ariani e rifugiatosi a Roma. Grazie a questo incontro, Liberio ed Eusebio hanno modo di conoscere l’esperienza cenobitica di sant’Antonio, padre dei monaci

Vercelli

Nel 342 papa Giulio II lo manda alla corte di Costante, imperatore d’Occidente, come membro della delegazione papale per trattare, insieme a san Protasio, Vescovo di Milano, della creazione della diocesi di Vercelli. Ottenuti i dovuti permessi, si recarono a Vercelli per dare lettura della bolla papale e avviare l’iter per l’elezione del primo Vescovo di quel luogo. L’arte oratoria di Eusebio conquistò fin da subito gli abitanti che elessero lo stesso Eusebio come Vescovo. Egli tentò di rifiutare, in quanto non era questo lo scopo della sua missione: ma papa Giulio condivise la decisione ed Eusebio fu così consacrato primo Vescovo della città il 15 dicembre 345.

Fatiche e intuizioni pastorali

La diocesi era molto vasta e, a parte la città, il resto del territorio era tra le campagne e le montagne, dove gli abitanti, seppur battezzati, erano ancora legati ai riti pagani. Eusebio osservò attentamente la realtà per cercare poi di offrire delle indicazioni per accompagnare le popolazioni a una coerenza di vita.

Il cenobio di Eusebio

L’incontro con il vescovo Atanasio e la scoperta dell’esperienza eremita di Antonio, gli suggerì di costituire un cenobio presso lo stesso Episcopio: vivere in comune con i sacerdoti, condividendo la vita di preghiera e penitenza, nel rispetto dell’impegno pastorale. Così scrive Ambrogio riguardo questa esperienza: “Questo santo vescovo fu il primo che, in Occidente, seppe unire insieme la vita ecclesiastica e la vita monastica. In questa santa chiesa egli ha fatto monaci coloro che ha ordinato sacerdoti e ha fuso insieme l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche con le osservanze delle austerità religiose; così negli stessi uomini si ammirano la rinunzia monastica e lo zelo del ministero; considerando la devozione di questi chierici, voi provate la gioia di contemplare l’ordine stesso degli angeli”. Sacerdoti immersi nelle questioni della loro gente, ma senza rincorrere privilegi di sorta: la vita comunitaria permetteva loro di dedicarsi alla preghiera e allo studio della Parola di Dio. La fama di questi sacerdoti del “cenobio” fu tale che molti di loro furono scelti come Vescovi nelle diocesi del Nord Italia e non solo.

La vita comune in diocesi  

Ma la vita comune non si fermò in Episcopio. Man mano che aveva un qualificato gruppo di sacerdoti, Eusebio li inviava in determinate zone pastorali ad avviare nuove realtà comunitarie/cenobitiche. Questa modalità di servizio, ma ancor più la testimonianza dei sacerdoti portò la gente ad abbandonare i riti pagani e a vivere in coerenza al vangelo. Si cominciò così a sostituire i riti pagani con preghiere e suppliche al Signore e alla Vergine Maria: in questo clima sorgerà il santuario mariano di Oropa, che la tradizione ritiene sia stato lo stesso Eusebio a fondare.

L’esilio

Se da una parte l’opera di evangelizzazione di Eusebio si diffondeva rapidamente, dall’altra l’eresia di Ario si faceva sempre più spazio a causa dell’imperatore Costanzo il quale, nel 353, arrivò a indire un concilio ad Arles per scomunicare Atanasio di Alessandria. Di fronte al rifiuto del Papa, fu convocato un secondo concilio a Milano, ma Eusebio – tra i delegati del Papa – declinò l’invito, sapendo che il concilio sarebbe comunque stato pilotato dall’imperatore. Papa Liberio scrisse quindi ad Eusebio affinché non venisse a mancare la sua autorevole parola. Riuniti a Milano, Eusebio invitò tutti a firmare il credo di Nicea, affinché emergessero subito i vescovi ariani; appena il Vescovo di Milano tentò di firmare il documento, subito l’Imperatore fermò ogni cosa e fece uscire l’assemblea. Impose quindi la fede ariana, che nega la divinità di Gesù Cristo, e furono condannati ed esiliati quanti non si erano adeguati. Eusebio visse questa esperienza come dono per il fatto di poter vivere fino in fondo lo spirito del monaco Antonio, in una vita eremitica. Tenne comunque i contatti con i suoi figli spirituali: “Approfitto per raccomandarvi caldamente di custodire con ogni cura la vostra fede, di mantenervi concordi, di essere assidui all’orazione, di ricordarvi sempre di noi, perché il Signore si degni di dare libertà alla sua chiesa, ora oppressa su tutta la terra, e perché noi, che siamo perseguitati, possiamo riacquistare la libertà e rallegrarci con voi”.

Nel 361, con la morte di Costanzo, salì al trono imperiale Giuliano, il quale permise a tutti i Vescovi di tornare alle loro Sedi Episcopali. Eusebio arrivò otto anni dopo l’esilio, nel 363. Morì il 1° agosto 371.