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Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria d'Egitto e dottore della Chiesa

Sant'Atanasio, sec. XVII Sant'Atanasio, sec. XVII  (© Musei Vaticani)

Atanasio

Fin da fanciullo Atanasio si convinse che un buon teologo doveva necessariamente essere anche un buon cristiano, un santo. E i contatti con Antonio abate, patriarca del monachesimo, gli erano di grande conforto, perché coglieva come quest’uomo povero e isolato sapeva molto di più e molto meglio di tanti studiosi della città: “Oltre allo studio e alla vera conoscenza delle Scritture c’è bisogno di una vita retta e di un’anima pura e della virtù secondo Cristo affinché, camminando nella virtù, l’intelletto possa raggiungere e comprendere ciò che desidera, per quanto la natura umana può comprendere del Dio Verbo. Infatti, senza un intelletto puro e una vita modellata sui santi, non si possono comprendere le parole dei santi… Così chi vuol comprendere il pensiero dei teologi deve purificare l’anima…”.

Il coraggio dei martiri, la debolezza dei lapsi

Nato ad Alessandria nel 295 circa da famiglia cristiana, ricevette una buona formazione culturale. La sua infanzia coincise con la persecuzione di Diocleziano (303-313) e Atanasio ebbe modo di ammirare il coraggio dei martiri da una parte, e dall’altra la mancanza di coraggio, dettata dalla debolezza umana, dei lapsi, i “ricaduti”, pronti a sacrificare agli dei di fronte al pericolo, e poi chiedere di essere riammessi nella comunione con la Chiesa, terminata la persecuzione.

La Trinità: Dio uno e trino

Atanasio visse periodi non facili. Da una parte, la Chiesa era appena uscita da un duro periodo di persecuzioni e doveva ancora trovare un corretto rapporto con l’autorità imperiale, dato che questa ancora influiva sulle nomine, sulle convocazioni di Concili e Sinodi e sulle formulazioni dottrinali; dall’altra, emergevano incomprensioni dottrinali che rischiavano di mettere a repentaglio l’intera esperienza cristiana, in particolare con l’arianesimo (da Ario, sacerdote della chiesa di Alessandria). Di fatto, nella cultura greca credere nell’unico Dio non era un problema: si trattava però di aiutare i nuovi cristiani a comprendere che Dio era Uno e Trino. Il diffondersi di una tale “dottrina” avrebbe significato far passare il messaggio che la salvezza si poteva raggiungere con le proprie forze e avrebbe quindi reso inutile l’incarnazione. Atanasio era consapevole dei due pericoli – di autorità e di dottrina – e s’impegnò per tutta la vita a dare il suo contributo dottrinale.

Il Concilio di Nicea

Nel 325, da diacono, partecipò al Concilio di Nicea quale assistente del vescovo Alessandro. In questa sede venne affrontata la questione di Ario, e i Vescovi presenti proclamarono solennemente che il Figlio è “della stessa sostanza del Padre”. Nel 328 il vescovo Alessandro morì e Atanasio ne divenne il successore. Come Vescovo decise di far visita nella Tebaide ai monaci di san Pacomio: Atanasio, infatti, era ben consapevole che il monachesimo poteva offrire un grande contributo nei confronti del popolo. A quella visita però Pacomio non si presentò perché temeva d’essere ordinato sacerdote e ritrovarsi coinvolto nell’impegno pastorale dell’amico Atanasio, che lo comprese cordialmente.

I meleziani e la difesa di Atanasio

Durante la visita alle varie comunità, i meleziani (discepoli del vescovo Melezio di Licopoli - +328) guidati da Giovanni Arkaf, lo accusarono presso l’imperatore di essersi fatto ordinare vescovo troppo giovane e aver imposto ingiusti tributi ai cristiani. Non fu difficile per Atanasio difendersi dalle accuse, ma queste erano solo il preludio di quanto ancora sarebbe accaduto. Verso la fine del 332 fu accusato di aver fatto uccidere il vescovo Arsenio di Ipsele, mentre questi era semplicemente nascosto in un monastero di monaci e comparve vivo e vegeto in tribunale. Fu un grande smacco per gli accusatori di Atanasio.

Anche gli ariani non smisero di creargli problemi. I meleziani gli sottoposero un documento con la formula di fede da sottoscrivere: poteva apparentemente sembrare ortodossa, ma mancava l’espressione “della stessa sostanza”. L’imperatore chiese ad Atanasio di riammettere Ario, ma dopo aver letto il documento, il vescovo si rifiutò. A questo punto, nel 335 i vescovi ariani e meleziani indissero il Concilio a Tiro che – di fronte alla maggioranza pilotata di ariani e meleziani – decretò l’esilio di Atanasio. Nel frattempo ad Alessandria era stato nominato Vescovo Giovanni Arkaf, ma la sua presenza durò poco perché presto venne espulso dai cristiani stessi. Da quel momento la cattedra d’Alessandria non fu occupata da altri vescovi eretici, in quanto i cristiani della città riconoscevano solo  Atanasio come loro vescovo.

La diatriba tra ariani e Atanasio

Alla morte di Costantino nel 337, Atanasio – con il consenso degli imperatori d’Occidente e d’Oriente – fece ritorno ad Alessandria. Ma ancora una volta gli ariani si opposero e invocarono un altro Concilio per discutere sulla posizione di Atanasio; a questo punto, lui si ritirò con i monaci. Papa Giulio I, saputo dov’era, lo convocò a Roma per il Concilio romano, durante il quale Atanasio fu riconosciuto innocente. Non potendo però rientrare ad Alessandria ebbe modo di insegnare con le sue catechesi – tra il 339 e il 346 – che il pericolo dell’arianesimo svuotava la fede cristiana. Nello stesso tempo, diffondeva l’esperienza del monachesimo a riprova che tutto è grazia, tutto è dono di Dio per chi in Lui crede e a Lui si affida.

Il rientro di Atanasio ad Alessandria

Solo nel 346, dopo il Concilio del 343 nell’attuale Sofia, il vescovo di Alessandria fu dichiarato deposto e Atanasio invitato a rientrare, cosa che avverrà solo tre anni dopo, in un tripudio di festeggiamenti. Gregorio Nazianzeno racconta che all’ingresso in Alessandria, innanzi al proprio pastore, la gente gettava a terra i mantelli e le palme. L’azione pastorale di Atanasio seppe conquistare cuori e intelligenze, come lui stesso scriverà nella Storia degli ariani raccontata ai monaci: “Quante donne in età da marito, già preparate e decise per le nozze, restarono vergini per Cristo! Quanti giovani, vedendo il loro esempio, abbracciarono la vita monastica! Quanti padri persuasero i propri figli e quanti figli convinsero i propri padri a non abbandonare la vita cristiana…”. San Basilio, che iniziava in quegli anni il suo ministero episcopale, riconobbe nell’ormai anziano Atanasio l’unico capace di dialogare con tutti, perché nessuno come lui “aveva la sollecitudine di tutte le Chiese”. Quando morì, il 2 maggio 373, Basilio lo ricordò come “anima grande e apostolica”.