Siate pazzi d'amore per aiutare gli altri: le parole di Francesco alla Caritas
Cecilia Seppia - Città del Vaticano
Le testimonianze di Ornella e Alessio, una volontaria e un ospite ‘salvato’ dalla strada, colpiscono profondamente il cuore del Papa che nel discorso conclusivo di questa visita alla Cittadella della Caritas, compiuta in occasione dei 40 anni dell’organismo diocesano, si sofferma sulla parola vulnerabilità, perché essa - esclama subito - differentemente da quanto si pensa, ci accomuna tutti: chi ha bisogno di aiuto e grida e bussa alla porta, chi decide di aiutare e chinarsi, fino a toccare le piaghe del fratello.
Tutti siamo vulnerabili e per lavorare nella Caritas bisogna riconoscere quella parola, ma riconoscerla, fatta carne nel cuore. Venire a chiedere aiuto è dire: “Sono vulnerabile” e aiutare bene soltanto si fa dalla propria vulnerabilità. È l’incontro di ferite diverse, di debolezze diverse, ma tutti siamo deboli, tutti siamo vulnerabili.
Dio si è fatto vulnerabile
D’altra parte, insiste Francesco, parlando a braccio di fronte a 220 persone, che lo ascoltano in un silenzio carico di commozione e gratitudine, anche Dio si è fatto vulnerabile per noi. Egli – prosegue - è uno di noi: non aveva una casa dove nascere, ha sofferto la persecuzione, il dramma di dover fuggire in un altro Paese. Anche Lui, era povero, era migrante ed è per questo che possiamo parlargli senza temere:
Possiamo avere intimità con Gesù perché è uno di noi itinerante, camminare con Gesù nella vita, perché abbiamo la stessa carta d’identità: vulnerabili, amati e salvati da Dio. Questo è il cammino. Non si può fare l’aiuto a i poveri, non ci si può avvicinare ai poveri dalla distanza. Bisogna toccare, toccare le piaghe; sono le piaghe di Gesù.
La grazia dei poveri
Anche perché solo toccando le piaghe e le ferite del prossimo, ci accorgiamo delle nostre. E questo secondo il Papa è il grande mistero, la grande grazia che ci rivelano i poveri rendendoci consapevoli della nostra vulnerabilità:
Ognuno ha la propria vulnerabilità, ma il cognome è lo stesso: vulnerabili. E questo è grande e questo è bello, perché che cosa significa? Che abbiamo bisogno di salvezza, abbiamo bisogno di cura. E la salvezza Dio non la fa con un decreto. Dio la fa camminando con noi, avvicinandosi a noi in Gesù.
Pazzi d'amore
Rispondendo alla sfida lanciata da don Benoni Ambarus, direttore della Caritas, su come annunciare il Vangelo della Carità, Francesco ribadisce che l’unico annuncio possibile è la testimonianza, mai il proselitismo, e prendendo l’esempio del samaritano, che pur non essendo religioso, soccorre l’uomo ferito dai ladri e lo porta in una locanda, pagando il locandiere per farlo mangiare, conclude:
Io penso: quel locandiere, cosa aveva pensato? Questo è un pazzo! Questa è la parola che io vorrei dirti: pazzia. Pazzia d’amore, pazzia di aiutare, pazzia di condividere la propria vulnerabilità con i vulnerabili. Non so. Pazzia. “Ma questi preti invece di rimanere in chiesa, dire Messa, stare tranquilli, fanno tutto questo movimento … Sono pazzi” – “Bravo: sono pazzi!” Questo è il programma: pazzi. Pensare al locandiere.
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