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Papa Francesco durante l'incontro con Thomas Evans, il padre di Alfie Papa Francesco durante l'incontro con Thomas Evans, il padre di Alfie  

Il Papa: profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie

Francesco esprime la sua profonda commozione in un tweet. Ricordiamo l'appello nel corso di un'udienza generale in cui ha confermato con forza che "l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio!"

Sergio Centofanti - Città del Vaticano

"Sono profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie. Oggi prego specialmente per i suoi genitori, mentre Dio Padre lo accoglie nel suo tenero abbraccio". Così, il Papa esprime in un tweet la sua commozione per la morte del bimbo inglese avvenuta stamattina alle 2.30.

La partecipazione del Papa

Il Papa ha profondamente partecipato alla vicenda di Alfie. Ha incontrato il papà Thomas, ha lanciato tre tweet e due appelli, uno al Regina Coeli, l’altro all’udienza generale del 18 aprile. In questa occasione aveva voluto "ribadire e fortemente confermare che l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio! E il nostro dovere, il nostro dovere è fare di tutto per custodire la vita". Ma soprattutto il Papa ha chiesto ai dirigenti del suo ospedale, l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, di fare il possibile e l’impossibile per il trasferimento del piccolo. L’istituto era pronto a trasferire, accogliere e ad assistere Alfie: tutto a proprie spese.

Dallapiccola: ecco cosa avrebbe fatto il Bambino Gesù

Ma che cosa poteva offrire al bimbo inglese l’Ospedale del Papa? Il suo direttore scientifico Bruno Dallapiccola risponde in modo chiaro: “Noi non offrivamo miracoli o una cura - che non è disponibile – per una malattia rapidamente degenerativa, ma sicuramente il nostro impegno sarebbe stato fornire tutto il tipo di assistenza ventilatoria, nutrizionale, di idratazione e di eventuali terapie di supporto di protezione dal dolore che si devono dare in questi casi. Questo caso non si configurava certamente come accanimento terapeutico, ma semplicemente l’accompagnamento di un paziente verso il suo destino naturale. Speriamo che in questo caso si siano avviate dei tipi di indagini genetiche – oggi ne abbiamo a disposizione e noi le facciamo correttamente nel nostro istituto – di tutto il genoma, alla caccia del gene malattia. Questo per dare alla famiglia anche un’informazione, cioè se questa è una condizione che rimane a sé stante, cioè un fulmine che  capitato su questa gravidanza, oppure c’è un rischio che questo si ripeta in una certa percentuale dei figli della coppia. Quindi anche questo è un aspetto che deve essere tenuto in considerazione per il futuro della famiglia”.

Enoc: la sanità cattolica sia diversa

Per Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù, “questa vicenda ci insegna che bisogna fare una vera e grande alleanza tra scienza, clinica, istituzioni e famiglie, e individuare un percorso che non avrà mai una piena condivisione, ma che apra comunque una strada su cui muoverci senza arrivare sempre a queste punte di iceberg. Perché la medicina sta facendo grandi passi avanti e casi come quelli di questi bambini, di persone in stato vegetativo e altri ancora, continueranno ad aumentare. Io ho letto in questi giorni un grande problema che riguarda i costi di queste persone”. E aggiunge: “Io ho una mia personale convinzione: credo che la sanità cattolica che si occupa di questo debba veramente riscoprire la capacità di dare supporto a queste persone in grave difficoltà. Non possiamo semplicemente fare quello che tutti gli altri fanno ma dobbiamo fare quello che riteniamo sia giusto fare”.

Gambino: carenza di umanità

Per il presidente dell’Associazione Scienza & Vita Alberto Gambino in tutta la vicenda c’è stata “una carenza di umanità. Aldilà delle capacità tecniche dell’ospedale, queste sono situazioni nelle quali occorre necessariamente trovare una  condivisione  tra il desiderio dei genitori di portare il più a lungo possibile la vita del loro piccolo e il tema della sofferenza, del dolore, difficilmente misurabile in un minore, tanto più se è nei primi mesi di vita. Davanti a queste due situazioni occorre davvero che i giudici facciano un passo indietro e che si recuperi una buona dose di umanità. Credo non sia un caso che queste situazioni stiano avvenendo negli ospedali anglosassoni che hanno una loro durezza in termini di applicazione dei regolamento anche se, da un punto di vista tecnico, sono molto all’avanguardia”.

I protocolli non prevalgano sulle relazioni umane

Secondo Gambino, inoltre, “occorrerebbe recuperare il ruolo della famiglia, dei genitori in queste vicende. Sempre di più arriviamo ad una situazione dove prevale l’applicazione di un protocollo rispetto a quelle che è l’accompagnamento, l’accudimento che tipicamente viene dato dai familiari. Facciamo attenzione che i protocolli non prevalgano sulle relazioni umane  e in questo caso all’alleanza che ci deve essere sempre tra medico-paziente-famiglia.

Dietro la vicenda c'è la questione dei costi

Secondo Gambino in questa vicenda “ha inciso molto” anche la razionalizzazione del sistema sanitario inglese, con forti tagli all’assistenza rispetto a quanto avveniva negli anni Settanta: “Non c’è dubbio che in questi casi, sullo sfondo ci sia la necessità di contenere i costi e di dare anche dei precedenti alla giurisprudenza affinché altri casi siano risolti con maggiore silenzio, meno clamore, ma magari – purtroppo – in un’ottica di fine vita. Certamente influisce moltissimo l’efficienza economica dei sistemi sanitari e, in questo senso, la riforma del sistema anglosassone”.

(Interviste a cura di Alessandro Guarasci)

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28 aprile 2018, 14:15