Iran, arricchimento dell’uranio e futuro dell’accordo sul nucleare
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
L’Iran ha continuato ad arricchire l’uranio, superando di quasi otto volte i limiti imposti dall’accordo sul nucleare del 2015. Le informazioni sono contenute in un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, visionato dall’agenzia Afp, secondo cui la scorta iraniana di uranio arricchito si attesta sui 1.500 kg a fronte dei 300 consentiti. Nel documento c'è anche la preoccupazione dell’Aiea perchè l'Iran non garantisce l'accesso a due siti che l’Agenzia desidera visitare in relazione a possibili materiali e attività non dichiarati.
Indietro nelle promesse del 2015
“L’arricchimento - dice a Vatican News Andrea Plebani, professore di Geopolitica all’Università Cattolica - segnala sostanzialmente un tentativo di riportare l'attenzione su quello che è il file iraniano e sull'eredità di un accordo che nel 2015 era stato accolto come una svolta epocale e che invece, soprattutto con l'avvento della presidenza Trump, non ha purtroppo proseguito lungo la linea che era stata indicata inizialmente”.
Contrariamente agli obblighi sanciti dal patto, l'Iran, stando al rapporto, produce anche uranio arricchito ad un tasso del 4,5%, al di sopra della soglia stabilita del 3,67%. Si tratta, comunque, di un tasso che non è aumentato da luglio 2019 ed è lontano dalla soglia richiesta per la fabbricazione di una bomba atomica. Firmato a Vienna nel 2015 da Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania, il Joint comprehensive plan of action è l’accordo internazionale sul nucleare iraniano raggiunto con Teheran dopo due anni di negoziati. L’intesa prevedeva sostanzialmente la riduzione progressiva delle sanzioni a Teheran, che in cambio avrebbe limitato il suo programma nucleare. “Gli Stati Uniti - prosegue il professor Plebani - si sono ritirati dall'intesa nel 2019, mentre l'Iran e gli altri membri firmatari si sono mantenuti sostanzialmente in linea con la stessa. Almeno in una fase iniziale, l’Iran aveva chiesto che ci fosse da parte di altri partner un'attenzione maggiore, che provassero a salvare l’essenza dell'accordo anche in assenza degli Usa. Si è trattato di iniziative che però non hanno pienamente risposto ai desiderata di Teheran e anche in quest'ottica va letto il superamento delle soglie indicate, fatto tra l’altro in pubblico, senza nascondere nulla. In questo senso è evidente come quest’ultimo step sia un atto dovuto da parte dell’Aiea ma non segnali un cambiamento epocale della situazione”.
Ricadute geopolitiche
Sulle possibili ricadute in ambito geopolitico delle informazioni contenute dal documento dell’Aieia, il professor Plebani aggiunge: “Vanno valutate all'interno di una crisi ormai abbastanza evidente, scoppiata in maniera fortissima nel corso dello scorso anno e che ha raggiunto il suo apice con l’assassinio del generale Soleimani. Le ricadute per ora sono limitate, anche perché, vista la situazione attuale, è difficile pensare a un’escalation immediata della crisi legata a quest'ultimo sviluppo, ma si collocano all’interno di una situazione estremamente tesa, che non si riduce solo a una relazione tra Stati Uniti e Iran, ma che coinvolge gli interi subsistemi del Levante e della Mesopotamia e che sono ancorati al sistema del Golfo Persico, quindi un arco di crisi sempre più ampio e sempre più radicato sfortunatamente”.
Intanto, nei giorni scorsi c’è stato uno scambio di prigionieri tra Usa e Iran. Per il presidente statunitense Trump questo mostra che un accordo è possibile tra Teheran e Washington. Ma da parte iraniana, via social, il capo della diplomazia Zarif ha sottolineato che la Repubblica Islamica e gli altri partecipanti "non hanno mai lasciato il tavolo" e il presidente del Parlamento iraniano ha chiuso all’ipotesi di un compromesso.
Il futuro dell’accordo sul nucleare iraniano
“Quello del 2015, sicuramente non era perfetto, ma era un accordo – conclude il docente della Cattolica - ed è stato un risultato straordinario, se pensiamo alla situazione che si era venuta a creare. Ora, recuperare quell’accordo diventa difficile, non tanto per i suoi contenuti quanto perché soprattutto da parte statunitense l’accordo è stato dipinto come uno dei grandi mali legati all'amministrazione Obama. Sarebbe più facile pensare a un accordo terzo oppure a integrazioni a quell'intesa. Non è chiaro come potrebbe svilupparsi, ma certo un ritorno allo status quo ante sembra molto difficile anche per una questione di politica interna e, non dimentichiamo, pure in vista di una serie di relazioni, di dinamiche intessute da Washington con Paesi del Golfo soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti che consideravano l'accordo come un fattore estremamente negativo e che hanno spinto moltissimo per una sua ridefinizione e addirittura per un abbandono da parte statunitense dello stesso”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui