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La vita cerca di tornare alla normalità ad Aleppo La vita cerca di tornare alla normalità ad Aleppo 

"Il deserto siriano tornerà a fiorire": realismo e speranza del cardinale Zenari

Il nunzio apostolico in Siria in un lungo colloquio con Vatican News traccia il quadro della situazione economico-sociale e politica del Paese quasi al suo nono anno di guerra. Povertà, disoccupazione, macerie e soprattutto relazioni gravemente rovinate: in tutto questo la Chiesa resta al fianco della gente e ricostruisce senza smettere mai di credere che il deserto tornerà a fiorire

Gabriella Ceraso - Città del Vaticano

La Siria è un "mare di sofferenza", ma "non un Inferno in terra", bensì un "moderno Calvario", in cui tanti Simone di Cirene e tante Veroniche sorreggono e condividono i pesi di un popolo straziato. In loro è il coraggio di guardare al domani. Si snoda tra realismo e speranza cristiana il racconto che a Vatican News fa il nunzio apostolico in Siria, di passaggio a Roma per qualche giorno. 

La bomba terribile della povertà

Negli occhi e nel cuore, il cardinale Mario Zenari porta soprattutto milioni di donne siriane che la guerra ha violato con sistematicità "industriale" e decine di migliaia di bambini che non possono andare a scuola, che non possono curarsi, che sono lontani dalle loro case o che sono morti.

Ascolta l'intervista al cardinale Zenari

R. - Se non cadono più le bombe - io vado ripetendo da tempo -  c'è una terribile 'bomba' che causa problemi e che colpisce secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, l'83% della popolazione costretta a causa della cosiddetta "bomba della povertà" a vivere sotto la soglia della povertà. Sono cifre ancora molto molto impressionanti. E poi non dobbiamo dimenticare questo disastro umanitario, il più grave dalla fine della seconda guerra mondiale, che secondo le recenti statistiche parla di 5 milioni 900mila sfollati interni, a volte sfollati ripetutamente; e 5 milioni e 600mila rifugiati nei paesi vicini per un totale di circa 12miloni di persone, la metà della popolazione che prima della guerra contava 23milioni, e che oggi è costretta a vivere fuori dalle case, dai villaggi dalla propria terra.

Le rovine non sono solo materiali

Vivere è difficile spiega il cardinale Zenari, continuando a fornire cifre impressionanti. La gente è delusa, manca di tutto: tanti che avevano anche un certo benessere ora chiedono l'elemosina, a causa della povertà galoppante. I settori più colpiti sono quello sanitario e quello educativo. Oggi, il 54% degli ospedali pubblici in Siria o sono chiusi o sono solo parzialmente funzionanti e i morti per mancanza di cure e assistenza sono più numerosi di quelli uccisi dalla guerra. Anche sul versante scolastico le ferite sono gravi: una scuola su tre non è agibile e due milioni di bambini non possono seguire le lezioni. A questo proposito, uno spiraglio di luce arriva dai frutti che sta portando l'iniziativa "Ospedali aperti" avviata proprio dal porporato con l'aiuto del Papa, tre anni fa, in tre strutture cattoliche tra Damasco e Aleppo, ristrutturate per dare assistenza ai più poveri di ogni etnia e religione.

R.- Ho fatto il giro più volte di questi tre ospedali e sono molto riconoscenti le persone povere ammalate e in modo particolare lo sono i musulmani che portano i loro familiari ad essere curati, perché non si aspettano che un cristiano della loro mentalità aiuti un musulmano, e ci sono bei gesti di riconoscenza. Loro riconoscono che, al di là delle prevenzioni che avevano, la Chiesa aiuta tutti. E allora mi sono reso conto che questi ospedali hanno due scopi: curare il fisico cercando di dimettere i malati, ma nello stesso tempo curare e migliorare le relazioni sociali, perché quello che è rovinato in Siria non sono tanto i palazzi distrutti che fanno impressione ma anche il tessuto sociale. Le relazioni tra la gente sono parecchio rovinate e la gente non si fida più e quindi in questi ospedali, avendo questi due scopi, si raggiunge veramente un grande risultato.

L'accordo politico, passo incoraggiante

A pesare sulla gente sicuramente anche le sanzioni internazionali, specie - fa notare il nunzio Zenari - la mancanza di carburanti per il riscaldamento domestico che rendono l'inverno già lungo e freddo in Siria, mortale per molti. E poi c'è l'instabilità politica: il cardinale riflette sull'accordo che con il sostegno dell'Onu, ha portato governo e opposizioni alla creazione di un comitato costituzionale che dovrebbe riunirsi il prossimo 30 ottobre. "Dopo mesi di stallo si è arrivati ad un accordo che è un passo incoraggiante ma la situazione resta difficile per milioni di siriani". 

“La strada è tutta in salita e bisogna essere realisti, ma restiamo al fianco della gente”

R.- Nel Medio Oriente, come si sa, c'è un ciclone, un tornado, e non occorre molto per dimostrarlo. E' una rivalità tra Paesi. Secondo quanto detto dall'inviato speciale delle Nazioni Unite, sono presenti o nei cieli siriani o sul suolo siriano, cinque eserciti tra i più agguerriti del mondo e sono tra loro a volte in conflitto, con la pericolosità che ne deriva. Quindi la Siria si trova nell'occhio di questo ciclone. Non dimentichiamo che è diventato luogo di una guerra per procura. E alcuni di questi paesi mediorientali si fanno la guerra in Siria. Quindi come la Siria potrà uscire domani da questa crisi? Direi che il domani è molto lontano. 

La guerra, un atroce e crudele delitto

Dove trovare allora segnali di speranza? Ce ne sono in Siria? Il ritorno di molti connazionali emigrati all'estero potrebbe essere un segnale positivo e incoraggiante per la popolazione che è rimasta? A questo punto le parole del cardinale Zenari si fanno più difficili da pronunciare. Il nunzio parla di "inferno in terra", della violenza che lo ha causato e che definisce un "atroce e crudele delitto". Ma a prevalere non può essere il male. C'è un deserto che in Siria fiorisce ogni anno in marzo: ecco, ci sarà un'altra fioritura, presto, da semi invisibili e gettati lì, su un suolo di pietre apparentemente arido. E in tutto questo, la Chiesa è chiamata a restare al fianco della gente: la vicinanza è l'occasione oggi per mostrare il vero volto del cristianesimo.

R.- Tutta la Siria è un calvario. Però voglio sottolineare come lungo il percorso della croce di Cristo, c'erano Simone di Cirene che ha aiutato Gesù a portare la Croce, e c'era Veronica che ha asciugato il suo volto. E io sottolineo spesso anche queste Veroniche, questi Cirenei e questi buoni samaritani. Un certo numero di loro, 2000 circa, alcuni dei quali volontari, hanno perso la vita soccorrendo la malcapitata Siria. C'è da inchinarsi di fronte al loro sacrificio. In queste Veroniche, in questi Samaritani e in questi Cirenei, io metto le organizzazioni umanitarie, le chiese, anche quelle in prima linea, che cercano di asciugare il volto sfigurato di Cristo. Io definirei dunque la Siria, un moderno calvario, dove non mancano queste persone generose che fanno sperare. Prima o poi si uscirà da questo venerdì santo e arriverà la Pasqua anche per la Siria.

“Il deserto siriano tornerà a fiorire grazie alla generosità della gente, grazie a semi di bontà ora invisibili”

L'esodo dei cristiani, una finestra che si chiude

"Rovesciamo la medaglia" è dunque il leit motiv che il cardinale ripete. Guardiamo al di là della distruzione: credo che questa sia, una grande opportunità per la Chiesa di manifestarsi per quello che è. Non proselitismo ma vicinanza, cosa che colpisce molto specie i musulmani: "avevamo dei pregiudizi, ci dicono", racconta il  nunzio, "ora scopriamo che i cristiani sono diversi". Le ultime parole del nostro colloquio col cardinale Zenari sono per la ferita che tocca la carne viva delle Chiese di Siria: l'emigrazione. E' un esodo che viene vissuto come una perdita. "Chi emigra in paesi occidentali è difficile che possa rientrare". Come fermare dunque questa emorragia? Dal nunzio due proposte: ovviamente fermare la guerra e poi fare in modo che in questi paesi medio orientali i cristiani si sentano alla pari di tutti gli altri cittadini, in diritti e doveri.

L'esodo dei cristiani

R.- La sofferenza più grave delle Chiese è l'emigrazione dei cristiani. Un dato da tutti accettato è che più della metà sono emigrati. Quanto è consistente questa metà è difficile dirlo. Ma è il danno più grave inferto alle chiese e non solo, anche alla società perché i cristiani sono in Siria da 2000 anni come presenza non solo di fede ma anche di costruzione del paese. Pensiamo a quello che hanno fatto le Chiese nel campo dell'assistenza ai malati e dell'educazione e finanche in campo politico. Vorrei ricordare nel 1946 il primo ministro cristiano protestante Fares el-Khoury. I cristiani, dunque, hanno dato il loro contributo anche nell'impegno sociale, con una mentalità aperta, universale. Porto sempre questa immagine come esempio: per la società siriana i cristiani sono una finestra aperta sul mondo e il presidente e i capi di Stato lo riconoscono. Se partono i cristiani si rischia di avere una società monoculturale e monoreligiosa.

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28 settembre 2019, 08:00