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Monsignor Tomo Vukšić, arcivescovo di Sarajevo Monsignor Tomo Vukšić, arcivescovo di Sarajevo

Monsignor Vukšić: "Per la Bosnia Erzegovina pace e Stato di diritto"

L'intervista al neo arcivescovo di Sarajevo, monsignor Tomo Vukšić, a 30 anni dall'inizio della missione ONU nell'ex Jugoslavia. Proprio oggi l'Alto rappresentante dell'UE per la politica estera di sicurezza, Josep Borrell, si è detto "profondamente preoccupato" per le tensioni in Bosnia-Erzegovina

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

L'Alto rappresentante dell'UE per la politica estera di sicurezza, Josep Borrell, si è detto "profondamente preoccupato" per le tensioni in Bosnia-Erzegovina. Nelle scorse settimane l'amministrazione americana ha annunciato nuove sanzioni a carico del leader serbo-bosniaco, Milorad Dodik, accusato di corruzione e ritenuto responsabile della crisi bosniaca per le crescenti tendenze secessioniste della Republika Srpska, l'entità a maggioranza serba di Bosnia-Erzegovina. L'ex Jugoslavia torna così al centro delle cronache proprio nel giorno del trentesimo anniversario della missione militare UNPROFOR, attraverso cui le Nazioni Unite intendevano proteggere le popolazioni coinvolte nel conflitto tra le Repubbliche dell’ex Jugoslavia. Una missione in realtà legata anche ad una delle pagine più sanguinose della guerra nel Paese balcanico, poiché nel luglio del 1995 fallì nell’intento di proteggere Srebrenica, località della Bosnia dichiarata due anni prima zona protetta da un’apposita risoluzione dell'Onu. Venne attaccata dalla milizie di Ratko Mladic che trucidarono oltre 8 mila musulmani di Bosnia.

I soldati stranieri hanno salvato molte vite 

"L'uomo onesto non comprende la guerra, nessuna alternativa alla pace è possibile". Lo afferma nella nostra intervista il neo arcivescovo di Sarajevo, monsignor Tomo Vukšić. "Grazie alla presenza, trent'anni fa, di forze internazionali, oggi molte persone sono vive, sono qui tra noi e sarebbe ingiusto non ricordarlo", ha aggiunto, sottolineando come però ancora ci siano dei percorsi da compiere per realizzare lo Stato di diritto nell'ex Jugoslavia.

Ascolta l'intervista a monsignor Tomo Vukšić

Eccellenza, l'Unione Europea si è detta profondamente preoccupata per quanto sta accadendo in questi giorni in Bosnia-Erzagovina. Una preoccupazione condivisa dalla popolazione?

Siamo d'accordo sul fatto di essere preoccupati, non saprei se profondamente. Di certo si sente parlare sempre più di armi, che potrebbero compromettere la pace e dunque è giusto essere preoccupati. Lo siamo anche per i diversi processi politici in corso, per i peccati di omissione della stessa Unione Europea. Mi spiego: sono passati troppi anni senza interventi in senso politico, legislativo, senza riforme. Servono leggi per far vivere lo Stato di diritto, non solo lo Stato reale. I problemi locali, le cose non risolte sono le questione principali. Soprattutto nell'ultimo decennio la mancanza di intervento ha creato i presupposti per il secessionismo e l'unitarismo, i due processi politici più preoccupanti. Si sente anche parlare della federalizzazione della Bosnia-Erzegovina nel senso svizzero, cioè la cantonizzione. Sarebbe una via di mezzo nella riorganizzazione, ma non sappiamo dove porterà tutto questo. Si pecca per omissione, secondo me. 

Sarebbe utile un intervento della comunità internazionale per completare un processo già avviato? Potrebbe avere un ruolo ancora centrale?

Non direi centrale, ma sicuramente importante. Più incisivo, più chiaro. Le persone si aspettano questo. Il problema sono le leggi ingiuste, piene di lacune. Questo permette delle manipolazioni, appunto delle ingiustizie. Assistiamo anche a manipolazioni elettorali che sono, di fatto, legali, perché la legge lo permette. Dall'inizio del mondo ci sono leggi giuste e ingiuste, qui ce ne sono diverse con molte lacune. Bisognerebbe correggerle, portarle ad un livello che garantisce lo Stato di diritto, con il rispetto delle prerogative fondamentali di ciascuno, di quelle collettive, dei popoli, delle comunità religiose. 

Tornando al trentesimo anniversario della presenza Onu nell'ex Jugoslavia, vogliamo ricordare ai più giovani che cosa ha significato quel conflitto per la sua terra?

Trent'anni fa stava per scoppiare una guerra di cui si sarebbe poi parlato in tutto il mondo. Da allora molte cose non sono state risolte, i problemi continuano. Già all'inizio del conflitto le forze internazionali militari erano presenti. I soldati hanno fatto molto bene. Certo, si parla anche delle omissioni, però sarebbe ingiusto non ricordare il bene che è stato fatto. Vanno ringraziati quei militari, hanno salvato molte vite. Tanti uomini e donne oggi sono vivi anche perché c'erano queste forze internazionali. 

Il Papa nell'ultimo Angelus domenicale ha sottolineato "com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi la guerra". In che modo, allora, costruire la vera pace?

Il Papa ci indica la via che è quella del Vangelo. Ce la indicano i nostri santi, i tanti martiri cristiani. Sono moltissimi gli esempi, le voci della storia oggi attuali. L'insegnamento di Gesù è chiaro, tutti siamo figli di Dio e dobbiamo essere fratelli e sorelle. Purtroppo molte persone non applicano queste parole. L'apostasia, nel senso morale, è il problema. Come dice il Papa, questo è molto triste perché si combatte, si pensa alla morte dell'altro. Questo accade in ogni parte del mondo, anche con combattimenti che hanno forme diverse dai classici conflitti. Un uomo onesto non capisce questo, può solo pregare e fare qualcosa per cambiare direzione alla storia. La pace non ha alternativa, non può averla. Tutto ciò che è diverso dalla pace è il male, il bene nella nostra vita è la pace. Il male non può essere accettato. 

Lei questa settimana sarà a Firenze per l'incontro dei vescovi e sindaci del Mediterraneo. Il dialogo e dunque la pace si costruiscono anche in questo modo?

Sì, questi incontri sono utili se guidati dall'idea del dialogo, della comprensione ed è certamente il caso di Firenze. Si corre però sempre un rischio, ovvero che alcuni incontri finiscano come le nozze moderne, con molta musica, foto, ma serve la sostanza. Se a Firenze dialogheremo, ma poi non lo faremo il giorno dopo al rientro nei rispettivi Paesi, non avremo centrato l'obiettivo. Il dialogo si costruisce nelle località, dove vivono gli uomini e le donne di diverse fedi e culture. Bisogna sempre insistere sul dialogo, sempre. 

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21 febbraio 2022, 16:13