Padre Maccalli: non dimentichiamo suor Narváez Argoti e chi è in ostaggio
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
Chiediamo al Signore la liberazione di suor Gloria e di tutti gli altri ostaggi. Si eleva verso il cielo l'appello, la preghiera di padre Pierluigi Maccalli. Il sacerdote, che lo scorso primo agosto si è recato in pellegrinaggio al Santuario di Fatima per ringraziare la Madonna per la sua liberazione, ricorda la religiosa colombiana sequestrata nel 2017 nel sud del Mali e quanti vivono il dramma del sequestro. Suor Gloria Cecilia Narváez Argoti è stata sequestrata nella parrocchia a Karangasso, la sera del 7 febbraio 2017 mentre svolgeva la sua missione. La religiosa colombiana della Congregazione delle Suore Francescane di Maria Immacolata ha recentemente potuto inviare un messaggio al fratello tramite la Croce Rossa Internazionale. "Invio a tutti - ha scritto a mano in spagnolo in lettere maiuscole - i miei più cordiali saluti. Sono prigioniera da quattro anni, e ora sono con un nuovo gruppo".
La vicenda di suor Gloria è stata al centro, nei giorni scorsi, di in colloquio di padre Maccalli con la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre. Nella prigionia, sottolinea il sacerdote ai media vaticani, la solitudine porta l'ostaggio a pensare di essere dimenticato da tutti. É importante far sentire a quanti sono stati rapiti, anche quando torneranno liberi, che non erano soli. Per chi è tenuto in ostaggio, poter ricevere una foto delle persone care può riempire il cuore e infondere coraggio. Quando sono stato rilasciato, ricorda padre Maccalli, ho visto un "fiume di preghiera" che ha accompagnato i miei due anni di prigionia.
Quale appello vuole rivolgere pensando a chi sta subendo la sofferenza della prigionia?
Non dimentichiamo tutti gli ostaggi che sono nel Sahel e in tante regioni del mondo. Continuiamo a pregare, a sostenere e a chiedere la loro liberazione. Questo vorrei che fosse detto e fosse ricordato. Non dimentichiamo la sofferenza di queste persone e delle loro famiglie.
Non dimenticare e ricordarle nella preghiera…
La preghiera è certamente la modalità che tutti possiamo impiegare. Ci credo fortemente anche per l'esperienza stessa che ho vissuto in prima persona. Poi, quando sono tornato, ho visto questo fiume di preghiera che ha accompagnato i miei due anni di sequestro. La preghiera è certamente un valido aiuto per uomini di fede. Cerchiamo davvero di essere vicini con questa modalità. E poi la vicinanza umana. Penso che sia importante far sentire a queste persone, anche quando torneranno, che non erano stati dimenticati. La cosa che più mi faceva male era sentirmi dimenticato da tutti. Questo è un sentimento che si prova, ma il ritorno mi ha fatto scoprire che c'era tanta gente che, comunque ha pregato e sperato per questa liberazione.
Il sentirsi soli è forse ancora più drammatico della violenza del sequestro…
Si prova una grande solitudine e l'impossibilità di avere qualche cosa di scritto. Io ho chiesto anche a tutte le persone che si interessano, che stanno forse conducendo il negoziato di fare di tutto per far arrivare un segnale, una fotografia. Forse sarà difficile far arrivare un testo scritto perché viene cestinato. Ma qualcosa di neutro, un segno che dica: la famiglia, il mondo non vi dimentica. Basterebbe una fotografia della propria famiglia, dei propri amici. Questo è un grande aiuto per chi vive una situazione di solitudine.
Un'immagine, una foto che può riempire il cuore…
Ho raccolto la testimonianza di Edith Blais, la ragazza canadese che è stata sequestrata. Lei ha potuto ricevere una foto di suo padre con cui faceva a ‘braccio di ferro’. Quella foto l'ha stretta e l’ha inserita nel libro pubblicato proprio qualche tempo fa. Questa immagine che le è arrivata, le ha riempito non solo il cuore ma gli occhi di lacrime. Le ha dato forza per resistere in quella situazione.
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