Pizzaballa: la crisi israelo-palestinese si risolve parlandosi
Michele Raviart - Città del Vaticano
Continuano gli attacchi aerei di Israele su Gaza e i lanci di missili da parte di Hamas. Le forze armate comunicano che, per tutta la notte, circa 160 aerei israeliani hanno colpito oltre 150 obiettivi sotterranei nel nord della Striscia. Circa 2 mila invece i razzi lanciati finora da Gaza verso Israele. I morti sono 119, tra cui 31 bambini, secondo le autorità palestinesi, mentre sul fronte interno si registrano nuovi scontri tra cittadini arabi e ebrei, principalmente a nord del Paese, con incendi, saccheggi e sparatorie. Nella Città Santa, intanto, le violenze sembrano dimuniere, spiega a Vatican News Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, che lancia un appello al dialogo:
R. - Purtroppo la situazione di violenza continua, con un’intensità minore in questo momento, ma è molto difficile fare previsioni. Diciamo che ci sono diversi fronti aperti. Forse la situazione a Gerusalemme, che è stata la miccia che ha fatto esplodere tutto in questo momento è la più calma, ma oggi è venerdì e dovremmo attendere dopo la preghiera dei musulmani se ci saranno conseguenze, ma speriamo di no. Il fronte interno è al momento quello che sta preoccupando di più, perché ha trovato un po’ tutti impreparati ed è stato un po’ un’esplosione di violenza che ha segnalato un disagio che covava da tempo e che è esploso in questo momento. La questione di Gaza, invece – non vorrei sembrare cinico – non è una novità purtroppo. L’abbiamo già visto diverse volte, l’ultima nel 2014. Non vedo soluzioni semplici. Diciamo che ora la situazione della violenza è più calma, ma certamente non è finita.
Per quanto riguarda il fronte interno, le notizie che arrivano sono quelle di violenze tra la popolazione. Che cosa sta succedendo?
R. – La violenza è verso tutte e due le parti. Arabi contro ebrei ed ebrei contro arabi, ed è difficile capire cosa è ritorsione di cosa. Sotto quell’apparenza di vita in comune che abbiamo visto in questi anni, covava molto probabilmente da un lato, forse, una politica di disprezzo di uno contro l’altro, soprattutto nei confronti degli arabi, ma non solo. E dall’altro lato c’è un senso di frustrazione da parte degli arabi e di discriminazione che in questo momento è esploso.
Abbiamo visto un’escalation dalla questione delle case a Sheik Jarrah. Secondo lei quali sono le cause che hanno portato così rapidamente a questa crisi?
R. – Le cause sono sempre le stesse. La questione israelo-palestinese – anche se ultimamente non era più nell’agenda internazionale e non se ne parlava più – non è mai stata risolta, come non è mai stata risolta la questione di Gerusalemme e del futuro della città. Sono questioni che non si risolvono né con prove di forza, né con l’imposizione da una parte o dall’altra, ma soltanto con un consenso generale. La ferita era stata coperta, ma mai curata. Rimossa la fascia, la ferita è venuta fuori in tutta la sua virulenza. Le cause sono sempre le stesse e non sono mai state affrontate sul serio.
Netanyahu ha detto le operazioni andranno avanti per tutto il tempo necessario. Quali sono le prospettive di questa crisi?
R. – Non credo che questa sarà una soluzione. Abbiamo già visto nel passato che soluzioni di guerra o militari, a lungo termine non hanno poi prodotto risultati concreti, tanto è vero che siamo ancora “punto e a capo”. Questo creerà ulteriori macerie, frustrazioni e soprattutto rancore da parte di tutti. Bisogna trovare altre vie. Bisogna parlarsi. Il problema è che qui non ci si parla.
Papa Francesco già domenica scorsa, dopo le prime violenze, nel Regina Coeli aveva chiesto di pregare per Gerusalemme. La Chiesa latina e il Patriarcato come stanno vivendo questo momento e quale è il messaggio che si sente di dare?
R. – L’unica cosa che possiamo fare è pregare e invitare tutte le persone che conosciamo a unirsi nella preghiera. Stiamo preparando una veglia particolare per la pace in vista della Pentecoste, tra pochi giorni. Siamo in collegamento con tutte le nostre parrocchie, soprattutto con quella di Gaza che ascoltiamo ogni giorno. Creare questa catena di preghiera è l’unica cosa che possiamo fare, oltre naturalmente a denunciare e richiamare.
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