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I vescovi francesi mettono in guardia contro la legalizzazione del suicidio assistito e dell'eutanasia I vescovi francesi mettono in guardia contro la legalizzazione del suicidio assistito e dell'eutanasia 

Francia, fine vita: per i vescovi a rischio la solidarietà sociale

Mons. De Germay spiega le ragioni della Chiesa francese sul “no” alla proposta di riforma della legge bioetica:”suicidio assistito e eutanasia indeboliscono i più deboli”

Michele Raviart – Città del Vaticano

La Conferenze episcopale francese interviene nel dibattito sulla revisione della legge sul fine, approvata il 2 febbraio 2016. In una nota i 118 vescovi francesi affermano il loro “no” alla modifica di una legge approvata da poco e che ora vieta di proseguire sui malati trattamenti ritenuti non necessari o sproporzionati e di accompagnare i pazienti alla morte con una sedazione “profonda e continua”.

"Uccidere non è una cura"

Legittimando l’assistenza medica al suicidio e all’eutanasia, come è stato proposto, l’intera società abbandonerebbe le persone più vulnerabili, spiegano i vescovi, che ribadiscono: “uccidere, con la pretesa di invocare la compassione, non è in nessun caso una cura”. Mons. Oliver de Germay, vescovo di Ajaccio e membro del gruppo di lavoro “Chiesa e bioetica” della conferenza episcopale francese, spiega nell’intervista di Olivier Bonnel, le posizioni della Chiesa:

R. – Il nostro parere è innanzitutto dire che la legge, l’ultima legge che è stata approvata il 2 febbraio del 2016, semplicemente comincia ora ad essere messa in atto, quindi non c’è veramente urgenza di modificare questa legge che a noi sembra equilibrata e non comprendiamo per quale motivo la si voglia modificare.

Nella dichiarazione della Conferenza episcopale francese, mons. Degermay, si vuole sottolineare l’ignoranza in particolare dell’efficacia delle cure palliative che non sono sufficientemente sviluppate. Più avanti, parlate anche della “mediatizzazione” di certi casi che “manipolano” il dibattito... 

R. - Effettivamente constatiamo che molti ignorano che oggi esistono le cure palliative, che non sono abbastanza sviluppate, e se c’è un’urgenza è quella di fare in modo che queste cure palliative vengano proposte alla maggior parte delle persone che le desiderano. Penso che se facciamo un passo indietro sull’equilibro che finalmente è stato raggiunto, rischieremmo di rendere fragile il patto di coscienza che lega chi cura a chi è curato, perché noi ci aspettiamo un personale medico che si prenda cura di una persona malata e non che sia lì per sopprimerla o rispondere al desiderio del momento.

Un altro elemento importante della vostra dichiarazione è la questione della libertà individuale. Lei dice che le rivendicazioni di alcuni che promuovono il suicidio assistito e l’eutanasia isolano e indeboliscono i più deboli, cioè che ci sarebbe una sorta di scelta dei ricchi rispetto a chi è lasciato sul ciglio della strada… Questo anche è un aspetto importante di questo testo…

R. - Direi che dietro c’è una certa concezione della persona e della società. Credo che effettivamente invocare la scelta sovrana del malato, la scelta di poter padroneggiare il proprio destino sia una visione molto individualista della persona. Sappiamo bene che la libertà esiste in relazione agli altri: cosa significa una libertà che rinchiude una persona fragile nella solitudine della sua decisione? Una società non è solo un’addizione di individui ma siamo legati gli uni agli altri.

Voi scrivete: “Le nostre scelte personali, che lo si voglia o no, hanno una dimensione collettiva”. Un’apertura all’eutanasia sarebbe minare anche i fondamenti della società?

R. - Sì, assolutamente. Credo che dietro ci sia la questione della solidarietà. Rinviamo ciascuno alla sua decisione, ancora una volta rinchiudendolo nella propria solitudine? O siamo solidali, gli uni con gli altri? Come è sempre stato, in particolare nelle società più tradizionali, in Africa, dove la  persona anziana ha un posto importante e dove ci si prende cura delle persone anziane… Credo che dietro la questione dell’eutanasia e delle questioni più largamente sollevate dalla revisione della legge sulla bioetica, ci sia la questione della vulnerabilità, la questione del posto che ha la fragilità nella nostra società: vogliamo una società in cui si elimini la fragilità e quindi le persone fragili, compreso il selezionarli prima della nascita per eliminarli? O siamo capaci di prendere in conto la fragilità e di renderci conto che in fondo può essere un segno per una società che è capace di prendersi cura della persona la più vulnerabile.

Ascolta e scarica l'intervista a mons. De Germay

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22 marzo 2018, 17:00